Papa Francesco, a bordo della “papamobile” scoperta, è entrato in Piazza San Pietro alle 9:00 per l’udienza generale. Il Pontefice ha fatto il giro della piazza sulla ‘jeep’ per salutare i fedeli giunti da ogni continente. Quindi dal sagrato della Basilica ha pronunciato la sua catechesi e ha indirizzato le particolari espressioni di saluto ai gruppi di pellegrini presenti. Secondo la Gendarmeria Vaticana, erano presenti in Piazza San Pietro circa 12.000 fedeli. Nel discorso in lingua italiana, il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla Vecchiaia, ha incentrato la sua riflessione sul tema: “Eleazaro, la coerenza della fede, eredità dell’onore”.
All'#Udienza generale #PapaFrancesco sottolinea il valore del legame tra fede e vita che gli anziani possono testimoniare ai giovani, a dispetto di un clima culturale che spesso lo mette in ridicolo o lo ritiene anacronistico
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Papa: “Oggi c’è tanta ipocrisia religiosa e clericale”
Quella di Eleazaro è la testimonianza dello speciale rapporto che esiste fra la fedeltà della vecchiaia e l’onore della fede, un aspetto che il Papa vuol mettere in evidenza osservando che l’onore della fede si trovi spesso “sotto la pressione, anche violenta, della cultura dei dominatori, che cerca di svilirla”, trattandola come una realtà anacronistica. La fede, invece, “merita rispetto e onore” perché “è una benedizione per tutti!”.
“Ipocrisia religiosa, c’è tanta ipocrisia religiosa, ipocrisia clericale”, ha sottolineato papa Francesco in un passo ‘a braccio’ durante la sua catechesi sulla vecchiaia nell’udienza generale. “La nostra coerenza può aprire ai giovani una strada di vita bellissima – ha osservato -. Invece, un’eventuale ipocrisia farà tanto male. Preghiamo gli uni per gli altri. Che Dio benedica tutti noi vecchi!”.
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La catechesi del Santo Padre in lingua italiana
Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Nel cammino di catechesi sulla vecchiaia, oggi incontriamo un personaggio biblico di nome Eleazaro, vissuto ai tempi della persecuzione di Antioco Epifane. La sua figura ci consegna una testimonianza dello speciale rapporto che esiste fra la fedeltà della vecchiaia e l’onore della fede. Vorrei parlare proprio dell’onore della fede, non solo della coerenza, dell’annuncio, della resistenza della fede. L’onore della fede si trova periodicamente sotto la pressione, anche violenta, della cultura dei dominatori, che cerca di svilirla trattandola come reperto archeologico, vecchia superstizione, puntiglio anacronistico.
#PapaFrancesco: "Dimostreremo, in tutta umiltà e fermezza, proprio nella nostra vecchiaia, che credere non è una cosa “da vecchi” è cosa di vita…i giovani ci guardano e la nostra coerenza può aprire una strada di vita bellissima!" #udienza pic.twitter.com/SrL1xJeJYb
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Il racconto biblico – ne abbiamo ascoltato un brano – narra l’episodio degli ebrei costretti da un decreto del re a mangiare carni sacrificate agli idoli. Quando viene il turno di Eleazaro, che era un anziano molto stimato da tutti, gli ufficiali del re lo consigliano di fare una simulazione, cioè di fingere di mangiare le carni senza farlo realmente. Così Eleazaro si sarebbe salvato, e – dicevano quelli – in nome dell’amicizia avrebbe accettato il loro gesto di compassione e di affetto. Dopo tutto – insistevano – si trattava di un gesto minimo, insignificante.
#PapaFrancesco: "La tentazione gnostica è una delle eresia di questo tempo…la pratica della fede è considerata come un’esteriorità inutile e anzi nociva, come un residuo antiquato, come una superstizione mascherata. Insomma, una cosa per i vecchi". #udienza pic.twitter.com/ny49cHTWrM
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La pacata e ferma risposta di Eleazaro fa leva su un argomento che ci colpisce. Il punto
centrale è questo: disonorare la fede nella vecchiaia, per guadagnare una manciata di giorni, non è paragonabile con l’eredità che essa deve lasciare ai giovani, per intere generazioni a venire. Un vecchio che è vissuto nella coerenza della propria fede per un’intera vita, e ora si adatta a fingerne il ripudio, condanna la nuova generazione a pensare che l’intera fede sia stata una finzione, un rivestimento esteriore che può essere abbandonato, pensando di poterlo conservare nel proprio intimo. Non è così, dice Eleazaro.
Un tale comportamento non onora la fede, neppure di fronte a Dio. E l’effetto di questa banalizzazione esteriore sarà devastante per l’interiorità dei giovani. Proprio la vecchiaia appare qui il luogo decisivo, e insostituibile, di questa testimonianza. Un anziano che, a motivo della sua vulnerabilità, accettasse di considerare irrilevante la pratica della fede, farebbe credere ai giovani che la fede non abbia alcun reale rapporto con la vita. Essa apparirebbe loro, fin dal suo inizio, come un insieme di comportamenti che, all’occorrenza, possono essere simulati o dissimulati, perché nessuno di essi è così importante per la vita.
L’antica gnosi eterodossa, che è stata un’insidia molto potente e molto seducente per il
cristianesimo dei primi secoli, teorizzava proprio questo: che la fede è una spiritualità, non una pratica; una forza della mente, non una forma della vita. La fedeltà e l’onore della fede, secondo questa eresia, non hanno nulla a che fare con i comportamenti della vita, le istituzioni della comunità, i simboli del corpo. La seduzione di questa prospettiva è forte, perché essa interpreta, a suo modo, una verità indiscutibile: che la fede non si può mai ridurre a un insieme di regole alimentari o di pratiche sociali. Il guaio è che la radicalizzazione gnostica di questa verità vanifica il realismo della fede cristiana, che invece deve passare sempre attraverso l’incarnazione. E svuota anche la sua testimonianza, che mostra i segni concreti di Dio nella vita della comunità e resiste alle perversioni della mente attraverso i gesti del corpo.
La tentazione gnostica rimane sempre attuale. In molte linee di tendenza della nostra società e nella nostra cultura, la pratica della fede subisce una rappresentazione negativa, a volte sotto forma di ironia culturale, a volte con una occulta emarginazione. La pratica della fede è considerata come un’esteriorità inutile e anzi nociva, come un residuo antiquato, come una superstizione mascherata. Insomma, una cosa per vecchi. La pressione che questa critica indiscriminata esercita sulle giovani generazioni è forte. Certo, sappiamo che la pratica della fede può diventare un’esteriorità senz’anima.
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Ma in sé stessa non lo è affatto. Forse tocca proprio a noi anziani restituire alla fede il suo onore. La pratica della fede non è il simbolo della nostra debolezza, ma piuttosto il segno della sua forza. Non siamo più ragazzi. Non abbiamo scherzato quando ci siamo messi sulla strada del Signore! La fede merita rispetto e onore: ci ha cambiato la vita, ci ha purificato la mente, ci ha insegnato l’adorazione di Dio e l’amore del prossimo. È una benedizione per tutti! Non baratteremo la fede per una manciata di giorni tranquilli. Dimostreremo, in tutta umiltà e fermezza, proprio nella nostra vecchiaia, che credere non è una cosa “da vecchi”. E lo Spirito Santo, che fa nuove tutte le cose, ci aiuterà volentieri.