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Papa: “Uccidere in nome di Dio è un sacrilegio”

“La religione autentica è fonte di pace e non di violenza! Nessuno può usare il nome di Dio per commettere violenza! Uccidere in nome di Dio è un grande sacrilegio! Discriminare in nome di Dio è inumano”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nell’incontro con i leader di altre religioni e denominazioni cristiane avvenuto oggi, alle 16, presso l’Università Cattolica “Nostra Signora del Buon Consiglio” a Tirana. Erano presenti i responsabili delle sei maggiori comunità religiose presenti nel Paese: musulmana, bektashi, cattolica, ortodossa, evangelica ed ebraica. “Quando, in nome di un’ideologia – ha detto il Papa – si vuole estromettere Dio dalla società, si finisce per adorare degli idoli, e ben presto l’uomo smarrisce se stesso, la sua dignità è calpestata, i suoi diritti violati”.

La privazione della libertà di coscienza e della libertà religiosa, ha spiegato, genera “un’umanità radicalmente impoverita, perché priva di speranza e di riferimenti ideali”. I cambiamenti avvenuti in Albania dagli anni ’90 hanno creato le condizioni per “un’effettiva libertà di religione” permettendo a tutti di offrire “un positivo contributo alla ricostruzione morale, prima che economica, del Paese”. Il Santo Padre, citando le parole di Giovanni Paolo II nella sua visita del 1993, ha espresso come la libertà religiosa sia un dono anche per chi non ha la grazia della fede, “perché è garanzia basilare di ogni altra espressione di libertà”, “baluardo contro tutti i totalitarismi” e “contributo decisivo all’umana fraternità”.

Ha poi invitato a stare in guardia dinanzi alle “tentazioni dell’intolleranza e del settarismo” e a “tutte quelle forme che rappresentano un uso distorto della religione”. Il vescovo di Roma ha indicato “due atteggiamenti che possono essere di particolare utilità nella promozione di questa libertà fondamentale”. Il primo è “di vedere in ogni uomo e donna, anche in quanti non appartengono alla propria tradizione religiosa, non dei rivali, meno ancora dei nemici, bensì dei fratelli e delle sorelle” nei confronti dei quali non bisogna “imporsi o esercitare pressioni”. Tutti, infatti, “non viviamo come entità autonome ed autosufficienti, né come singoli né come gruppi nazionali, culturali o religiosi, ma dipendiamo gli uni dagli altri, siamo affidati gli uni alle cure degli altri”.

Il secondo atteggiamento, secondo il successore di Pietro, è quello dell’impegno “in favore del bene comune” in quanto “più si è a servizio degli altri e più si è liberi”. A braccio ha infine sottolineato che, di fronte al fantasma di oggi – quello del relativismo – per dialogare è necessario partire dalla propria identità, “senza mascherarla” e “senza ipocrisia”.

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