Questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza gli alunni e gli insegnanti della rete nazionale delle “Scuole per la Pace” e ha rivolto loro un discorso.
“Pensate ai bambini che sono in guerra in Ucraina e a Gaza”, ha detto ai ragazzi il Pontefice, rivolgendosi loro a braccio, al termine del discorso che pubblichiamo integralmente di seguito.
Il discorso del Papa
Cari ragazzi e ragazze, cari insegnanti, buongiorno! Sono contento di incontrare ancora una volta la rete nazionale delle “Scuole per la Pace”. Saluto il Dottor Lotti e do il benvenuto a tutti voi. Voglio prima di tutto ringraziarvi. Grazie per questo cammino ricco di idee, di iniziative, di percorsi formativi e di attività, che intendono promuovere una nuova visione del mondo.
Grazie per essere pieni di entusiasmo nell’inseguire obiettivi di bellezza e di bontà, in mezzo a situazioni drammatiche, ingiustizie e violenze che sfigurano la dignità umana. Grazie perché con passione e generosità vi impegnate a lavorare nel “cantiere del futuro”, vincendo la tentazione di una vita appiattita soltanto sull’oggi, che rischia di perdere la capacità di sognare in grande. Oggi più che mai, invece, c’è bisogno di vivere con responsabilità, allargando gli orizzonti, guardando avanti e seminando giorno per giorno quei semi di pace che domani potranno germogliare e portare frutto.
Nel prossimo mese di settembre si svolgerà a New York il Summit del Futuro, convocato dall’ONU per affrontare le grandi sfide globali di questo momento storico e firmare un “Patto per il Futuro” e una “Dichiarazione sulle generazioni future”. Si tratta di un evento importante, e c’è bisogno anche del vostro contributo perché non rimanga soltanto “sulla carta”, ma diventi concreto e si realizzi attraverso percorsi e azioni di cambiamento. Voi portate nel cuore questo grande sogno: “Trasformiamo il futuro. Per la pace, con la cura”.
E proprio su questo vorrei brevemente soffermarmi per dirvi una cosa in cui credo molto: che siete chiamati ad essere protagonisti e non spettatori del futuro. La convocazione di questo Summit mondiale, infatti, ci ricorda che tutti siamo interpellati dalla costruzione di un avvenire migliore e, soprattutto, che dobbiamo costruirlo insieme!
Non possiamo solo delegare le preoccupazioni per il “mondo che verrà” e per la risoluzione dei suoi problemi alle istituzioni deputate e a coloro che hanno particolari responsabilità sociali e politiche. È vero che queste sfide richiedono competenze specifiche, ma è altrettanto vero che esse ci riguardano da vicino, toccano la vita di tutti e chiedono a ciascuno di noi partecipazione attiva e impegno personale. In un mondo globalizzato, dove siamo tutti interdipendenti, non è possibile procedere come singoli individui che si prendono cura soltanto del proprio “orto”: occorre invece mettersi in rete e fare rete, entrare in connessione, lavorare in sinergia e in armonia. Questo significa passare dall’io al noi: non “io lavoro per il mio bene”, ma “noi lavoriamo per il bene comune, per il bene di tutti”.
In effetti, le sfide odierne, e soprattutto i rischi che, come nubi oscure, si addensano su di noi minacciando il nostro futuro, sono anch’essi diventati globali. Ci riguardano tutti, interrogano l’intera comunità umana, richiedono il coraggio e la creatività di un sogno collettivo che animi un impegno costante, per affrontare insieme le crisi ambientali, economiche, politiche e sociali che il nostro pianeta sta attraversando. Si tratta di un sogno che richiede di essere svegli e non addormentati! Sì, perché lo si porta avanti lavorando, non dormendo; camminando per le strade, non sdraiati sul divano; usando bene i mezzi informatici, non perdendo tempo sui social; e poi – ascoltate bene – questo tipo di sogno si realizza pregando, cioè insieme con Dio, non con le nostre sole forze.
Cari studenti e insegnanti, voi avete messo al cuore del vostro impegno due parole chiave: la pace e la cura. Sono due realtà legate tra loro: la pace, infatti, non è soltanto silenzio delle armi e assenza di guerra; è un clima di benevolenza, di fiducia e di amore che può maturare in una società fondata su relazioni di cura, in cui l’individualismo, la distrazione e l’indifferenza cedono il passo alla capacità di prestare attenzione all’altro, di ascoltarlo nei suoi bisogni fondamentali, di curare le sue ferite, di essere per lui o lei strumenti di compassione e di guarigione.
Questa è la cura che Gesù ha verso l’umanità, in particolare verso i più fragili, e di cui il Vangelo ci parla spesso. Dal “prendersi cura” reciproco nasce una società inclusiva, fondata sulla pace e sul dialogo.
Carissimi, in questo tempo ancora segnato dalla guerra, vi chiedo di essere artigiani della pace; in una società ancora prigioniera della cultura dello scarto, vi chiedo di essere protagonisti di inclusione; in un mondo attraversato da crisi globali, vi chiedo di essere costruttori di futuro, perché la nostra casa comune diventi luogo di fraternità, di solidarietà e di pace.
“Vorrei parlarvi un minuto della guerra – ha aggiunto a braccio il Papa -. Pensate ai bambini dell’Ucraina, che hanno dimenticato come si sorride. Pensate ai bambini di Gaza, che soffrono sotto le mitragliatrici e hanno fame”.
Vi auguro di essere sempre appassionati di questo sogno! Lo dico con il motto di Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, che al “non mi importa”, tipico dell’indifferenza menefreghista, opponeva l’“I care”, cioè il “mi sta a cuore”, “mi interessa”.
Che anche a voi stia sempre a cuore la sorte del nostro pianeta e dei vostri simili; vi stia a cuore il futuro che si apre davanti a noi, perché possa essere davvero come Dio lo sogna per tutti: un futuro di pace e di bellezza per l’umanità intera. Vi benedico di cuore. Buona scuola e buon cammino! E, per favore, ricordatevi di pregare per me.