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Papa: “Peccato rinunciare all'incontro con l’altro”

Alla Messa celebrata stamane in Basilica Vaticana nella 104.ma Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, da Papa Francesco si è rivolto agli ospiti d'onore: 9 mila i presenti tra migranti, rifugiati e richiedenti asilo da 49 Paesi diversi, con i loro canti che hanno animato la celebrazione eucaristica, i colori e le bandiere.

L'omelia

Non è facile, esordisce il Pontefice durante l'omelia, mettersi “nei panni di persone così diverse da noi”, comprenderne “i pensieri e le esperienze”. E così, nota, spesso “rinunciamo all’incontro con l’altro e alziamo barriere per difenderci”. Le comunità locali – osserva – “hanno paura che i nuovi arrivati disturbino l’ordine costituito”, “‘rubino’ qualcosa di quanto si è faticosamente costruito”. Ma anche i migranti hanno le proprie paure: “temono il confronto, il giudizio, la discriminazione, il fallimento”.

“Queste paure sono legittime – dice Bergoglio –  fondate su dubbi pienamente comprensibili da un punto di vista umano. Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto. Il peccato è rinunciare all’incontro con l’altro, all'incontro con il diverso, all'incontro con il prossimo, che di fatto è un’occasione privilegiata di incontro con il Signore”.

“Nel mondo di oggi, – prosegue – per i nuovi arrivati, accogliere, conoscere e riconoscere significa conoscere e rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti. Significa pure comprendere le loro paure e apprensioni per il futuro. E per le comunità locali, accogliere, conoscere e riconoscere significa aprirsi alla ricchezza della diversità senza preconcetti, comprendere le potenzialità e le speranze dei nuovi arrivati, così come la loro vulnerabilità e i loro timori”.

Il Papa conclude affidando a Maria le speranze di tutti i migranti e i rifugiati del mondo e le aspirazioni delle comunità che li accolgono, affinché, “in conformità al supremo comandamento divino della carità e dell’amore al prossimo”, impariamo “ad amare l’altro, lo straniero, come amiamo noi stessi”.

 

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