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Papa Francesco: “Uniti e solidali con chi soffre per la guerra”

Il Papa, al termine della riflessione dell'Angelus chiede una preghiera per i sofferenti: "Il nostro affidamento non venga meno, non vacilli la speranza"

“Venerdì prossimo 17 marzo e sabato 18 si rinnoverà in tutta la Chiesa l’iniziativa ’24 ore per il Signore’: un tempo dedicato alla preghiera di adorazione e al sacramento della Riconciliazione”. Così Papa Francesco dalla finestra su Piazza San Pietro, al termine dell’Angelus domenicale. Il Santo Padre rinnova l’invito alla preghiera, a un anno dal “solenne Atto di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria“, durante il quale era stato invocato “il dono della pace. Il nostro affidamento non venga meno, non vacilli la speranza”. Ma il Papa ha ribadito il suo appello affinché tutti restino “uniti nella fede e nella solidarietà con i nostri fratelli che soffrono a causa della guerra; soprattutto non dimentichiamo il martoriato popolo ucraino”.

L’Angelus di Papa Francesco

Questa domenica il Vangelo ci presenta uno degli incontri più belli e affascinanti di Gesù, quello con la samaritana (cfr Gv 4,5-42). Gesù e i discepoli fanno sosta vicino a un pozzo in Samaria. Arriva una donna e Gesù le dice: «Dammi da bere» (v. 8). Vorrei soffermarmi proprio su questa espressione: Dammi da bere.

La scena ci mostra Gesù assetato e stanco, che si fa trovare al pozzo dalla samaritana nell’ora più calda, a mezzogiorno, e come un mendicante chiede ristoro. È un’immagine dell’abbassamento di Dio: Dio si abbassa in Gesù Cristo per la redenzione, viene da noi. In Gesù, Dio si è fatto uno di noi, si è abbassato; assetato come noi, soffre la nostra stessa arsura. Contemplando questa scena, ciascuno di noi può dire: il Signore, il Maestro «mi chiede da bere. Ha quindi sete come me. Ha la mia sete. Mi sei vicino davvero, Signore! Sei legato alla mia povertà – non posso crederlo! – mi hai preso dal basso, dal più basso di me stesso, ove nessuno mi raggiunge» (P. Mazzolari, La Samaritana, Bologna 2022, 55-56).

E tu sei venuto da me, in basso, e mi hai preso da lì, perché tu avevi, e hai, sete di me. La sete di Gesù, infatti, non è solo fisica, esprime le arsure più profonde della nostra vita: è soprattutto sete del nostro amore. È più di un mendicante, è un assetato del nostro amore. Ed emergerà nel momento culminante della passione, sulla croce; lì, prima di morire, Gesù dirà: «Ho sete» (Gv 19,28). Quella sete dell’amore che lo ha portato a scendere, ad abbassarsi, ad essere uno di noi.

Ma il Signore, che chiede da bere, è Colui che dà da bere: incontrando la samaritana le parla dell’acqua viva dello Spirito Santo, e dalla croce effonde dal suo costato trafitto sangue e acqua (cfr Gv 19,34). Gesù, assetato d’amore, ci disseta d’amore. E fa con noi come con la samaritana: ci viene incontro nel nostro quotidiano, condivide la nostra sete, ci promette l’acqua viva che fa zampillare in noi la vita eterna (cfr Gv 4,14).

“Dammi da bere”

Dammi da bere. C’è un secondo aspetto. Queste parole non sono solo la richiesta di Gesù alla samaritana, ma un appello – a volte silenzioso – che ogni giorno si leva verso di noi e ci chiede di prenderci cura della sete altrui. Dammi da bere ci dicono quanti – in famiglia, sul posto di lavoro, negli altri luoghi che frequentiamo – hanno sete di vicinanza, di attenzione, di ascolto; ce lo dice chi ha sete della Parola di Dio e ha bisogno di trovare nella Chiesa un’oasi dove abbeverarsi. Dammi da bere è l’appello della nostra società, dove la fretta, la corsa al consumo e soprattutto l’indifferenza, questa cultura dell’indifferenza generano aridità e vuoto interiore. E – non dimentichiamolo – dammi da bere è il grido di tanti fratelli e sorelle a cui manca l’acqua per vivere, mentre si continua a inquinare e deturpare la nostra casa comune; e anch’essa, sfinita e riarsa, “ha sete”.

Davanti a queste sfide, il Vangelo di oggi offre ad ognuno di noi l’acqua viva che può farci diventare fonte di ristoro per gli altri. E allora, come la samaritana, che lasciò la sua anfora al pozzo e andò a chiamare la gente del villaggio (cfr v. 28), anche noi non penseremo più solo a placare la nostra sete, la nostra sete materiale, intellettuale o culturale, ma con la gioia di aver incontrato il Signore potremo dissetare altri: dare senso alla vita altrui, non come padroni, ma come servitori di questa Parola di Dio che ci ha assetato, che ci asseta continuamente; potremo capire la loro sete e condividere l’amore che Lui ha donato a noi.

Mi viene di fare questa domanda, a me e a voi: siamo capaci di capire la sete degli altri? La sete della gente, la sete di tanti della mia famiglia, del mio quartiere? Oggi possiamo chiederci: io ho sete di Dio, mi rendo conto che ho bisogno del suo amore come dell’acqua per vivere? E poi, io che sono assetato, mi preoccupo della sete degli altri, la sete spirituale, la sete materiale?

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