Senza lavoro non c’è dignità”; “prima di tutto c’è il bene della persona”. E’ quanto affermato da Papa Francesco nel suo videomessaggio indirizzato ai partecipanti della Settimana sociale dei cattolici italiani, iniziata oggi a Cagliari. Il lavoro è proprio il tema della Settimana, che quest’anno porta il titolo: “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale”. “Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone – fa notare Bergoglio -, quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione, che sfruttano i minori. Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità”.
Cari fratelli e sorelle,
saluto cordialmente tutti voi che partecipate alla 48ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, convocata a Cagliari. Rivolgo il mio saluto fraterno al Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ai Vescovi presenti, all’Arcivescovo Filippo Santoro, ai membri del Comitato Scientifico e Organizzatore, ai delegati delle diocesi italiane, ai rappresentanti dei movimenti e delle associazioni legate al lavoro e a tutti gli invitati.
Vi riunite sotto la protezione e con l’esempio del Beato Giuseppe Toniolo, che nel 1907 promosse le Settimane Sociali in Italia. La sua testimonianza di laico è stata vissuta in tutte le dimensioni della vita: spirituale, familiare, professionale, sociale e politica. Per ispirare i vostri lavori, vi propongo un suo insegnamento. «Noi credenti – scriveva – sentiamo, nel fondo dell’anima, […] che chi definitivamente recherà a salvamento la società presente non sarà un diplomatico, un dotto, un eroe, bensì un santo, anzi una società di santi» (Dal saggio Indirizzi e concetti sociali). Fate vostra questa “memoria fondativa”: ci si santifica lavorando per gli altri, prolungando così nella storia l’atto creatore di Dio.
Nelle Scritture troviamo molti personaggi definiti dal loro lavoro: il seminatore, il mietitore, i vignaioli, gli amministratori, i pescatori, i pastori, i carpentieri, come San Giuseppe. Dalla Parola di Dio emerge un mondo in cui si lavora. Il Verbo stesso di Dio, Gesù, non si è incarnato in un imperatore o in un re ma «spogliò sé stesso assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7) per condividere la nostra vicenda umana, inclusi i sacrifici che il lavoro richiede, al punto da essere noto come falegname o figlio del falegname (cfr Mc 6,3; Mt 13,55). Ma c’è di più. Il Signore chiama mentre si lavora, come è avvenuto per i pescatori che Egli invita per farli diventare pescatori di uomini (cfr Mc 1,16-18; Mt 4,18-20). Anche i talenti ricevuti, possiamo leggerli come doni e competenze da spendere nel mondo del lavoro per costruire comunità, comunità solidali e per aiutare chi non ce la fa.
Il tema di questa Settimana Sociale è «Il lavoro che vogliamo:libero, creativo, partecipativo e solidale». Così nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ho voluto definire il lavoro umano (n. 192). Grazie per avere scelto il tema del lavoro. «Senza lavoro non c’è dignità»: lo ripeto spesso, ricordo proprio a Cagliari nel 2013, e lo scorso maggio a Genova. Ma non tutti i lavori sono “lavori degni”. Ci sono lavori che umiliano la dignità delle persone, quelli che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione e che sfruttano i minori. Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione. Io ho sentito tante volte questa angoscia: l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre. Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono. Rimane poi la preoccupazione per i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti e di invalidi.
La dignità del lavoro è la condizione per creare lavoro buono: bisogna perciò difenderla e promuoverla. Con l’Enciclica Rerum novarum (1891) di Papa Leone XIII, la Dottrina sociale della Chiesa nasce per difendere i lavoratori dipendenti dallo sfruttamento, per combattere il lavoro minorile, le giornate lavorative di 12 ore, le insufficienti condizioni igieniche delle fabbriche.
Il mio pensiero va anche ai disoccupati che cercano lavoro e non lo trovano, agli scoraggiati che non hanno più la forza di cercarlo, e ai sottoccupati, che lavorano solo qualche ora al mese senza riuscire a superare la soglia di povertà. A loro dico: non perdete la fiducia. Lo dico anche a chi vive nelle aree del Sud d’Italia più in difficoltà. La Chiesa opera per un’economia al servizio della persona, che riduce le disuguaglianze e ha come fine il lavoro per tutti.
La crisi economica mondiale è iniziata come crisi della finanza, poi si è trasformata in crisi economica e occupazionale. La crisi del lavoro è una crisi ambientale e sociale insieme (cfr Ene. Laudato si’, 13). Il sistema economico mira ai consumi, senza preoccuparsi della dignità del lavoro e della tutela dell’ambiente. Ma cosi è un po’ come andare su una bicicletta con la ruota sgonfia: è pericoloso! La dignità e le tutele sono mortificate quando il lavoratore è considerato una riga di costo del bilancio, quando il grido degli scartati resta ignorato. A questa logica non sfuggono le pubbliche amministrazioni, quando indicono appalti con il criterio del massimo ribasso senza tenere in conto la dignità del lavoro come pure la responsabilità ambientale e fiscale delle imprese. Credendo di ottenere risparmi ed efficienza, finiscono per tradire la loro stessa missione sociale al servizio della comunità.
Tra tante difficoltà non mancano tuttavia segni di speranza. Le tante buone pratiche che avete raccolto sono come la foresta che cresce senza fare rumore, e ci insegnano due virtù: servire le persone che hanno bisogno; e formare comunità in cui la comunione prevale sulla competizione. Competizione: qui c’è la malattia della meritocrazia… E’ bello vedere che l’innovazione sociale nasce anche dall’incontro e dalle relazioni e che non tutti i beni sono merci: ad esempio la fiducia, la stima, l’amicizia, l’amore.
Nulla si anteponga al bene della persona e alla cura della casa comune, spesso deturpata da un modello di sviluppo che ha prodotto un grave debito ecologico. L’innovazione tecnologica va guidata dalla coscienza e dai principi di sussidiarietà e di solidarietà. Il robot deve rimanere un mezzo e non diventare l’idolo di una economia nelle mani dei potenti; dovrà servire la persona e i suoi bisogni umani.
Il Vangelo ci insegna che il Signore è giusto anche con i lavoratori dell’ultima ora, senza essere lesivo di ciò che è «il giusto» per i lavoratori della prima ora (cfr Mt 20,1-16). La diversità tra i primi e gli ultimi lavoratori non intacca il compenso a tutti necessario per vivere. È, questo, il “principio di bontà” in grado anche oggi di non far mancare nulla a nessuno e di fecondare i processi lavorativi, la vita delle aziende, le comunità dei lavoratori. Compito dell’imprenditore è affidare i talenti ai suoi collaboratori, a loro volta chiamati non a sotterrare quanto ricevuto, ma a farlo fruttare al servizio degli altri. Nel mondo del lavoro, la comunione deve vincere sulla competizione!
Voglio augurarvi di essere un “lievito sociale” per la società italiana e di vivere una forte esperienza sinodale. Vedo con interesse che toccherete problemi molto rilevanti, come il superamento della distanza tra sistema scolastico e mondo del lavoro, la questione del lavoro femminile, il cosiddetto lavoro di cura, il lavoro dei portatori di disabilità e il lavoro dei migranti, che saranno veramente accolti quando potranno integrarsi in attività lavorative. Le vostre riflessioni e il confronto possano tradursi in fatti e in un rinnovato impegno al servizio della società italiana.
Alla grande assemblea della Settimana Sociale di Cagliari assicuro il mio ricordo nella preghiera e, mentre chiedo di pregare anche per me e per il mio servizio alla Chiesa, invio di cuore a tutti voi la Benedizione Apostolica.