Papa Francesco ha presieduto la Santa Messa nella Basilica Vaticana in occasione della VIII Giornata Mondiale dei Poveri, la quale si celebra oggi sul tema: “La preghiera del povero sale fino a Dio”.
Uno sguardo più acuto
Le parole che abbiamo appena ascoltato potrebbero suscitare in noi sentimenti di angoscia; in realtà, sono un grande annuncio di speranza. Infatti, se da una parte Gesù sembra descrivere lo stato d’animo di chi ha visto la distruzione di Gerusalemme e pensa che ormai sia arrivata la fine, allo stesso tempo Egli annuncia qualcosa di straordinario: proprio nell’ora dell’oscurità e della desolazione, proprio quando tutto sembra crollare, Dio viene, Dio si fa vicino, Dio ci raduna per salvarci. Gesù ci invita ad avere uno sguardo più acuto, ad avere occhi capaci di “leggere dentro” gli avvenimenti della storia, per scoprire che, anche nelle angosce del nostro cuore e del nostro tempo, c’è un’incrollabile speranza che brilla. In questa Giornata Mondiale dei Poveri, allora, soffermiamoci proprio su queste due realtà: angoscia e speranza, che sempre si sfidano a duello nel campo del nostro cuore. Anzitutto l’angoscia. È un sentimento diffuso nella nostra epoca, dove la comunicazione sociale amplifica problemi e ferite rendendo il mondo più insicuro e il futuro più incerto. Anche il Vangelo oggi si apre con un quadro che proietta nel cosmo la tribolazione del popolo, e lo fa utilizzando il linguaggio apocalittico: «Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte».
Ampliare l’orizzonte
Se il nostro sguardo si ferma soltanto alla cronaca dei fatti, dentro di noi l’angoscia ha il sopravvento. Anche oggi, infatti, vediamo il sole oscurarsi e la luna spegnersi, vediamo la fame e la carestia che opprimono tanti fratelli e sorelle, vediamo gli orrori della guerra e le morti innocenti; e, davanti a questo scenario, corriamo il rischio di sprofondare nello scoraggiamento e di non accorgerci della presenza di Dio dentro il dramma della storia. Così, ci condanniamo all’impotenza; vediamo crescere attorno a noi l’ingiustizia che provoca il dolore dei poveri, ma ci accodiamo alla corrente rassegnata di coloro che, per comodità o per pigrizia, pensano che “il mondo va così” e “io non posso farci niente”. Allora anche la stessa fede cristiana si riduce a una devozione innocua, che non disturba le potenze di questo mondo e non genera un impegno concreto nella carità. E mentre una parte del mondo è condannata a vivere nei bassifondi della storia, mentre le disuguaglianze crescono e l’economia penalizza i più deboli, mentre la società si consacra all’idolatria del denaro e del consumo, succede che i poveri e gli esclusi non possono fare altro che continuare ad aspettare.
La speranza
Ma ecco che Gesù, in mezzo a quel quadro apocalittico, accende la speranza. Spalanca l’orizzonte, allarga il nostro sguardo perché impariamo a cogliere, anche nella precarietà e nel dolore del mondo, la presenza dell’amore di Dio che si fa vicino, non ci abbandona, agisce per la nostra salvezza. Infatti, proprio mentre il sole si oscura, la luna smette di brillare e le stelle cadono dal cielo, dice il Vangelo, «vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria»; ed Egli «radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo». Con queste parole, Gesù sta indicando anzitutto la sua morte che avverrà di lì a poco. Sul Calvario, infatti, il sole si oscurerà e le tenebre scenderanno sul mondo; ma proprio in quel momento il Figlio dell’uomo verrà sulle nubi, perché la potenza della sua risurrezione spezzerà le catene della morte, la vita eterna di Dio sorgerà dal buio del sepolcro e un mondo nuovo nascerà dalle macerie di una storia ferita dal male. Questa è la speranza che Gesù ci vuole consegnare. E lo fa anche attraverso una bella immagine: guardate alla pianta del fico – dice –, perché «quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, significa che l’estate è vicina». Allo stesso modo, anche noi siamo chiamati a leggere le situazioni della nostra storia terrena: laddove sembra esserci soltanto ingiustizia, dolore e povertà, proprio in quel momento drammatico, il Signore si fa vicino per liberarci dalla schiavitù e far risplendere la vita.
Accendere luci di giustizia e solidarietà
E siamo noi, noi suoi discepoli, che grazie allo Spirito Santo possiamo seminare questa speranza nel mondo. Siamo noi che possiamo e dobbiamo accendere luci di giustizia e di solidarietà mentre si addensano le ombre di un mondo chiuso. Siamo noi che la sua Grazia fa brillare, è la nostra vita impastata di compassione e di carità a diventare segno della presenza del Signore, sempre vicino alla sofferenza dei poveri, per lenire le loro ferite e cambiare la loro sorte. Fratelli e sorelle, non dimentichiamolo: la speranza cristiana, che si è compiuta in Gesù e si realizza nel suo Regno, ha bisogno di noi e del nostro impegno, di una fede operosa nella carità, di cristiani che non si girano dall’altra parte. Perché «dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società» Un teologo del Novecento diceva che la fede cristiana deve generare in noi una “mistica dagli occhi aperti”: non una spiritualità che fugge dal mondo ma, al contrario, una fede che apre gli occhi sulle sofferenze del mondo e sulle infelicità dei poveri, per esercitare la stessa compassione di Cristo.
La condivisione con i poveri
E non dobbiamo guardare solo ai grandi problemi della povertà mondiale, ma al poco che tutti possiamo fare ogni giorno: con i nostri stili di vita, con l’attenzione e la cura per l’ambiente in cui viviamo, con la ricerca tenace della giustizia, con la condivisione dei nostri beni con chi è più povero, con l’impegno sociale e politico per migliorare la realtà che ci circonda. Potrà sembrarci poca cosa, ma il nostro poco sarà come le prime foglie che spuntano sull’albero di fico: un anticipo dell’estate ormai vicina.
L’appello
Carissimi, in questa Giornata Mondiale dei Poveri mi piace ricordare un monito del Cardinale Martini. Egli disse che dobbiamo stare attenti a pensare che c’è prima la Chiesa, già solida in sé stessa, e poi i poveri di cui scegliamo di occuparci. In realtà, si diventa Chiesa di Gesù nella misura in cui serviamo i poveri, perché solo così «la Chiesa “diventa” sé stessa, cioè casa aperta a tutti, luogo della compassione di Dio per la vita di ogni uomo». Lo dico alla Chiesa, lo dico ai Governi degli Stati e alle Organizzazioni internazionali, lo dico a ciascuno e a tutti: per favore, non dimentichiamoci dei poveri.
Da Vatican News