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Papa Francesco: “Comunicare è un atto di amore”

Il Santo Padre ha incontrato i presidenti delle Commissioni episcopali per la comunicazione e i direttori degli uffici comunicazione delle Conferenze episcopali

Papa Francesco, incontrando i presidenti delle Commissioni episcopali per la comunicazione e i direttori degli uffici comunicazione delle Conferenze episcopali, ha richiamato all’importanza di comunicare trasmettendo speranza e fraternità.

Le parole del Santo Padre

Do il benvenuto a voi che nelle Chiese locali svolgete un servizio di responsabilità nel campo della comunicazione. È bello vedervi qui vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laiche e laici, chiamati a comunicare la vita della Chiesa e uno sguardo cristiano sul mondo. Comunicare questo sguardo cristiano è bello. Ci incontriamo oggi, dopo aver celebrato il Giubileo del Mondo della Comunicazione, per fare insieme una verifica e anche un esame di coscienza. Fermiamoci ancora a riflettere sul modo concreto in cui comunichiamo, animati dalle fede che, come è scritto nella Lettera agli Ebrei, è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono.

Le domande da porsi

Domandiamoci allora: in che modo seminiamo speranza in mezzo a tanta disperazione che ci tocca e ci interpella? Come curiamo il virus della divisione, che minaccia anche le nostre comunità? La nostra comunicazione è accompagnata dalla preghiera? O finiamo con il comunicare la Chiesa adottando soltanto le regole del marketing aziendale? Tutte queste domande dobbiamo farcele. Sappiamo testimoniare che la storia umana non è finita in un vicolo cieco? E come indichiamo una diversa prospettiva verso un futuro che non è già scritto? A me piace questa espressione scrivere il futuro. Tocca a noi scrivere il futuro. Sappiamo comunicare che questa speranza non è un’illusione? La speranza non delude mai; ma sappiamo comunicare questo? Sappiamo comunicare che la vita degli altri può essere più bella, anche attraverso di noi? Io posso, da parte mia, dare bellezza alla vita degli altri? E sappiamo comunicare e convincere che è possibile perdonare? È tanto difficile questo!

Il significato della comunicazione cristiana

Comunicazione cristiana è mostrare che il Regno di Dio è vicino: qui, ora, ed è come un miracolo che può essere vissuto da ogni persona, da ogni popolo. Un miracolo che va raccontato offrendo le chiavi di lettura per guardare oltre il banale, oltre il male, oltre i pregiudizi, oltre gli stereotipi, oltre sé stessi. Il Regno di Dio è oltre noi. Il Regno di Dio viene anche attraverso la nostra imperfezione, è bello questo. Il Regno di Dio viene nell’attenzione che riserviamo agli altri, nella cura attenta che mettiamo nel leggere la realtà. Viene nella capacità di vedere e seminare una speranza di bene. E di sconfiggere così il fanatismo disperato. Questo, che per voi è un servizio istituzionale, è anche vocazione di ogni cristiano, di ogni battezzato. Ogni cristiano è chiamato a vedere e raccontare le storie di bene che un cattivo giornalismo pretende di cancellare dando spazio solo al male. Il male esiste, non va nascosto, ma deve smuovere, generare interrogativi e risposte. Per questo, il vostro compito è grande e chiede di uscire da sé stessi, di fare un lavoro “sinfonico”, coinvolgendo tutti, valorizzando anziani e giovani, donne e uomini; con ogni linguaggio, con la parola, l’arte, la musica, la pittura, le immagini. Tutti siamo chiamati a verificare come e che cosa comunichiamo. Comunicare, comunicare sempre. Sorelle, fratelli, la sfida è grande. Vi incoraggio pertanto a rafforzare la sinergia fra di voi, a livello continentale e a livello universale. A costruire un modello diverso di comunicazione, diverso per lo spirito, per la creatività, per la forza poetica che viene dal Vangelo e che è inesauribile. Comunicare, sempre è originale. Quando noi comunichiamo, noi siamo creatori di linguaggi, di ponti. Siamo noi i creatori. Una comunicazione che trasmette armonia e che è alternativa concreta alle nuove torri di Babele. Pensate un po’ su questo. Le nuove torri di Babele: tutti parlano e non si capiscono. Pensate a questa simbologia.

L’importanza delle parole

Vi lascio due parole: insieme e rete. Insieme. Solo insieme possiamo comunicare la bellezza che abbiamo incontrato: non perché siamo abili, non perché abbiamo più risorse, ma perché ci amiamo gli uni gli altri. Da questo ci viene la forza di amare anche i nostri nemici, di coinvolgere anche chi ha sbagliato, di unire ciò che è diviso, di non disperare. E di seminare speranza. Questo non dimenticate: seminare speranza. Che non è lo stesso di seminare ottimismo, no, per niente. Seminare speranza. Comunicare, per noi, non è una tattica, non è una tecnica. Non è ripetere frasi fatte o slogan e neanche limitarsi a scrivere comunicati stampa. Comunicare è un atto di amore. Solo un atto di amore gratuito tesse reti di bene. Ma le reti vanno curate, riparate, ogni giorno. Con pazienza e con fede. Rete è la seconda parola su cui vi invito a riflettere. Perché, in realtà, ne abbiamo smarrito la memoria, come se fosse una parola legata alla civiltà digitale. E invece è una parola antica. Ci ricorda, prima di quelle sociali, le reti dei pescatori e l’invito di Gesù a Pietro a diventare pescatore di uomini. Fare rete, dunque, è mettere in rete capacità, conoscenze, contributi, per poter informare in maniera adeguata e così essere tutti salvati dal mare della disperazione e della disinformazione. Questo è già un messaggio, è già di per sé una prima testimonianza.

Il compito della comunicazione

Pensiamo, allora, a quanto potremmo fare insieme, grazie ai nuovi strumenti dell’era digitale, grazie anche all’intelligenza artificiale, se anziché trasformare la tecnologia in un idolo, ci impegnassimo di più a fare rete. Vi confesso una cosa: a me preoccupa, più dell’intelligenza artificiale, quella naturale, quell’intelligenza che noi dobbiamo sviluppare. Quando ci sembra di essere caduti in un abisso, guardiamo oltre, oltre noi stessi. Nulla è perduto; sempre si può ricominciare, nell’affidarsi gli uni agli altri e tutti insieme a Dio, è il segreto della nostra forza comunicativa. Fare rete! Essere una rete! Invece di affidarci alle sirene sterili dell’auto-promozione, alla celebrazione delle nostre iniziative, pensiamo a come costruire insieme i racconti della nostra speranza. Ecco il vostro compito. La sua radice è antica. Il miracolo più grande fatto da Gesù per Simone e gli altri pescatori delusi e stanchi non è tanto quella rete piena di pesci, quanto l’averli aiutati a non essere preda della delusione e dello scoraggiamento di fronte alle sconfitte. Per favore, non cadere in quella tristezza interiore. Non perdere il senso dell’umorismo che è saggezza, saggezza di tutti i giorni. La nostra rete è per tutti. Per tutti! La comunicazione cattolica non è qualcosa di separato, non è solo per i cattolici. Non è un recinto dove rinchiudersi, una setta per parlare fra noi, no! La comunicazione cattolica è lo spazio aperto di una testimonianza che sa ascoltare e intercettare i segni del Regno. È il luogo accogliente di relazioni vere. Chiediamoci: sono così i nostri uffici, le relazioni fra noi?

La Chiesa in uscita

La nostra rete è la voce di una Chiesa che solo uscendo da sé stessa ritrova sé stessa e le ragioni della propria speranza. La Chiesa deve uscire da sé stessa. A me piace pensare a quel passo dell’Apocalisse, quando Signore dice: «Io sto alla porta e busso». Questo lo dice per entrare. Ma adesso, tante volte il Signore bussa da dentro perché noi, i cristiani, lo facciamo uscire! E noi tante volte prendiamo il Signore soltanto per noi. Dobbiamo fare uscire il Signore – bussa alla porta per uscire – e non averlo un po’ “schiavizzato” per i nostri servizi. I nostri uffici, le relazioni fra noi, la nostra rete, sono proprio di una Chiesa in uscita? Grazie, grazie per il vostro lavoro! Andate avanti con coraggio, con la gioia di evangelizzare. Vi benedico tutti di cuore.

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