Piazza Kossuth Lajos di Budapest è gremita da cinquantamila fedeli. Il consesso ideale per ribadire concetti che, pur nell’apparente consapevolezza su di essi dettata dalla società contemporanea, sembrano sempre più spesso venir meno. Almeno nella loro comprensione. E allora, Papa Francesco fa nuovamente appello al cuore, oltre che alla ragione, affinché le porte verso l’altro siano sempre aperte, a chi è straniero o diverso: “Cerchiamo di essere anche noi – con le parole, i gesti, le attività quotidiane – come Gesù: una porta aperta, una porta che non viene mai sbattuta in faccia a nessuno, una porta che permette a tutti di entrare a sperimentare la bellezza dell’amore e del perdono del Signore”.
Nell’omelia della Santa Messa, il Santo Padre attinge alle parole del Vangelo per esortare a essere come il buon pastore: “Gesù, come un pastore che va in cerca del suo gregge, è venuto a cercarci mentre eravamo perduti; come un pastore, è venuto a strapparci dalla morte; come un Pastore, che conosce una per una le sue pecore e le ama con infinita tenerezza, ci ha fatti entrare nell’ovile del Padre, facendoci diventare suoi figli”.
Come il buon Pastore
Il Pastore, ricorda il Papa, prima di tutto “chiama le sue pecore. All’inizio della nostra storia di salvezza non ci siamo noi con i nostri meriti, le nostre capacità, le nostre strutture; all’origine c’è la chiamata di Dio, il suo desiderio di raggiungerci, la sua sollecitudine verso ciascuno di noi, l’abbondanza della sua misericordia che vuole salvarci dal peccato e dalla morte, per donarci la vita in abbondanza e la gioia senza fine”. Gesù, come buon Pastore dell’umanità, ci chiama e ci riconduce a casa. E, in ogni momento della nostra ita, negli smarrimenti come nelle paure, Egli “viene come buon Pastore e ci chiama per nome, per dirci quanto siamo preziosi ai suoi occhi, per curare le nostre ferite e prendere su di sé le nostre debolezze”.
Uscire verso il mondo
Anche il raduno di Piazza Lajos assume le sembianze di un’adunanza per percepire “la gioia di essere popolo santo di Dio”, per rispondere alla chiamata del Signore “affinché, pur essendo tra noi diversi e appartenendo a comunità differenti, la grandezza del suo amore ci riunisca tutti in un unico abbraccio”. Una chiamata che ci rammenta l’importanza di non chiuderci in noi stessi ma di aprirci “all’amore vicendevole”. Gesù, spiega il Papa, “è la porta che si è spalancata per farci entrare nella comunione del Padre e sperimentare la sua misericordia”. Egli, dopo averci ricondotto nell’ovile, ci spinge a uscire verso il mondo, ad andare incontro ai fratelli. Tutti “siamo chiamati a questo, a uscire dalle nostre comodità e ad avere il coraggio di raggiungere ogni periferia che ha bisogno della luce del Vangelo”.
Aprire la porta del cuore
Essere in uscita significa “per ciascuno di noi diventare, come Gesù, una porta aperta. È triste e fa male vedere porte chiuse: le porte chiuse del nostro egoismo verso chi ci cammina accanto ogni giorno… Incoraggiamoci ad essere porte sempre più aperte: “facilitatori” della grazia di Dio, esperti di vicinanza, disposti a offrire la vita”. Spetta al nostro cuore lasciare la porta aperta, così che possa entrare il Signore della vita e la sua Parola, “per poi uscire fuori ed essere noi stessi porte aperte nella società”.