Il Papa ad Asti: “Cristo è un Re che si manifesta a braccia aperte”

Papa Francesco Asti Cristo Re

La solennità di Cristo Re dell’Universo impone un momento di riflessione. Dalla Cattedrale di Asti, dove Papa Francesco celebra la Santa Messa, emerge la necessità di chiamare realmente Cristo per nome. Esattamente come fece il “buon ladrone” sul Calvario. Con il tono di chi è in confidenza, “coinvolto e non semplice spettatore”. Il Santo Padre parla dalle terre d’origine della sua famiglia, dove si è recato per “ritrovare il sapore delle radici”. Le stesse radici di cui parla il Vangelo, quelle della fede. Che Gesù fa germogliare anche nel momento di atroce sofferenza, in croce sul monte Calvario. È qui che Cristo ha piantato il seme “nel cuore della terra” e “ci ha aperto la via al Cielo; con la sua morte ci ha dato la vita eterna; attraverso il legno della croce ci ha portato i frutti della salvezza”.

Guardare negli occhi Gesù

Una sola frase appare sulla croce: “Costui è il re dei Giudei”. Guardando Gesù, però, l’idea diffusa di sovrano viene ribaltata: “Egli non è seduto su un comodo trono, ma appeso a un patibolo… Dal trono della croce non ammaestra più le folle con la parola, non alza più la mano per insegnare. Fa di più: non punta il dito contro nessuno, ma apre le braccia a tutti. Così si manifesta il nostro Re: a braccia aperte”. Ed è entrando nel suo abbraccio che possiamo capire come Dio “si è spinto fino a lì, fino al paradosso della croce, proprio per abbracciare tutto di noi, anche quanto di più distante c’era da Lui: la nostra morte, il nostro dolore, le nostre povertà, le nostre fragilità e le nostre miserie”. Cristo è salito sulla croce “perché in ogni crocifisso della storia vi sia la presenza di Dio”. Guardare negli occhi Gesù Crocifisso significa non andare incontro a uno sguardo fugace ma a qualcuno che apre le braccia verso di noi: “Sentiamo rivolta a noi quella frase, l’unica che Gesù dice oggi dalla croce: ‘Con me sarai nel paradiso’. Questo vuole e vuol dirci Dio, a tutti noi, ogni volta che ci lasciamo guardare da Lui. E allora capiamo di non avere un dio ignoto che sta lassù nei cieli, potente e distante, no: un Dio vicino, la vicinanza è lo stile di Dio”.

La malattia dell’indifferenza

Dinnanzi alla croce, ricorda il Vangelo, c’è chi fa da spettatore. Ma anche coloro che si fanno coinvolgere. Nel primo caso, spiega Papa Francesco, “guardano: è uno spettacolo veder morire uno in croce”. Non perché fosse gente cattiva ma “alla vista del Crocifisso restano spettatori: non fanno un passo in avanti verso Gesù, ma lo guardano da lontano, curiosi e indifferenti, senza interessarsi davvero, senza chiedersi che cosa poter fare”. Persino vicino alla croce c’è chi assiste: i capi del popolo, i soldati, uno dei malfattori. Spettatori che “condividono un ritornello, che il testo riporta tre volte: ‘Se sei re, salva te stesso!’. Lo insultano così, lo sfidano! Salva te stesso, esattamente il contrario di quello che sta facendo Gesù, che non pensa a sé, ma a salvare loro, che lo insultano”. C’è indifferenza, che il Papa definisce “una brutta malattia”. L’indifferenza verso Gesù è la stessa che si ha verso i malati, i poveri, i miseri. E questo “crea delle distanze con le miserie”. Un rischio anche per la nostra fede, “che appassisce se resta una teoria non diventa pratica, se non c’è coinvolgimento, se non ci si spende in prima persona, se non ci si mette in gioco”.

Chiamare Dio per nome

Ma, accanto all’onda cattiva, c’è anche quella benefica. Il buon ladrone si lascia coinvolgere e prega: “Gesù, ricordati di me”. Un malfattore diventa perciò il primo santo: “Ora, il Vangelo parla del buon ladrone per noi, per invitarci a vincere il male smettendo di rimanere spettatori. Per favore, questo è peggio di fare il male, l’indifferenza. Da dove cominciare? Dalla confidenza, dal chiamare Dio per nome, proprio come ha fatto il buon ladrone, che alla fine della vita ritrova la fiducia coraggiosa dei bambini, che si fidano, chiedono, insistono. E nella confidenza ammette i suoi sbagli, piange ma non su sé stesso, bensì davanti al Signore”.

Damiano Mattana: