L'11 febbraio del 1994, con il motu proprio “Vitae Mysterium”, San Giovanni Paolo II istituiva la Pontificia Accademia per la Vita. Nella Lettera Apostolica, Papa Wojtyla ne dichiarava le finalità: “studiare, informare e formare circa i principali problemi di biomedicina e di diritto, relativi alla promozione e alla difesa della vita, soprattutto nel diretto rapporto che essi hanno con la morale cristiana e le direttive del Magistero della Chiesa”. Al suo vertice, tra gli altri, si sono succeduti in questi anni grandi figure come il Servo di Dio Jérôme Lejeune, il Cardinal Elio Sgreccia, monsignor Rino Fisichella. Attualmente il ruolo di presidente è ricoperto da monsignor Vincenzo Paglia.
La lettera del Papa
Papa Francesco ha indirizzato la sua lettera per commemorare il XXV anniversario della fondazione dell'Accademia proprio a monsignor Paglia. Nella missiva, intitolata “Humana Communitas”, il Pontefice ha rimarcato l'impegno dell'istituzione pontificia in difesa della vita di ogni essere umano in quanto frutto dell'amore incondizionato di Dio. Bergoglio ha scritto:”In questo nostro tempo, la Chiesa è chiamata a rilanciare con forza l’umanesimo della vita che erompe da questa passione di Dio per la creatura umana”. Secondo il Santo Padre, “dobbiamo restituire evidenza a questa passione di Dio per l’umana creatura e il suo mondo. Essa fu fatta da Dio a sua 'immagine' – 'maschio e femmina' la creò – come creatura spirituale e sensibile, consapevole e libera”. Ripercorrendo la storia dell'Accademia per la Vita, Bergoglio ha menzionato lo straordinario contributo del Servo di Dio Jérôme Lejeune, il genetista che scoprì la causa della sindrome di Down e che fu ispiratore e primo presidente della realtà istituita da San Giovanni Paolo II.
La relazione tra uomo e donna
Occorre, ha osservato Francesco, far crescere la consapevolezza di discendere dalla creazione e dall'amore di Dio. Non si può dimenticare che “la comunità umana è il sogno di Dio fin da prima della creazione del mondo”. Il Pontefice ha posto in evidenza come l'uomo e la donna stiano al vertice della creazione divina: “La relazione tra l’uomo e la donna – si legge nella lettera – costituisce il luogo eminente in cui l’intera creazione diventa interlocutrice di Dio e testimone del suo amore”. La nostra vita terrena è già orientata verso il momento della resurrezione finale: “Questo nostro mondo – ha scritto il Papa – è la dimora terrena della nostra iniziazione alla vita, il luogo e il tempo nel quale possiamo già iniziare a gustare la dimora celeste alla quale siamo destinati, ove vivremo in pienezza la comunione con Dio e con tutti”.
Il paradosso del “progresso”
Papa Francesco ha sottolineato la drammatica contraddizione dell'età contemporanea in cui “la passione per l'umanità” rischia di finire vittima dell'eccessiva rapidità dei cambiamenti. “Le gioie delle relazioni familiari e della convivenza sociale appaiono profondamente logorate”, ha scritto il Pontefice. “La diffidenza reciproca dei singoli e dei popoli – ha proseguito – si nutre di una smodata ricerca del proprio interesse e di una competizione esasperata, che non rifugge dalla violenza. La distanza fra l’ossessione per il proprio benessere e la felicità dell’umanità condivisa sembra allargarsi; sino a far pensare che fra il singolo e la comunità umana sia ormai in corso un vero e proprio scisma”. Bergoglio ha parlato di un'”anticultura dell'indifferenza per la comunità; ostile agli uomini e alle donne e alleata con la prepotenza del denaro”. Proprio ad essa andrebbe attribuita la responsabilità dello “stato di emergenza in cui si trova il nostro rapporto con la storia della terra e dei popoli”. Ed è paradossale, ha sottolineato, che questo avvenga proprio in un periodo storico in cui la disponibilità di risorse economiche e tecnologiche parrebbe sufficiente a prendersi “cura della casa comune e della famiglia umana, onorando la consegna di Dio stesso”. Eppure, sono proprio esse a causare le “divisioni più aggressive”. Questo paradosso, secondo Francesco, genera nei popoli un “avvilimento spirituale” definito “nichilismo”. Il disagio vissuto dall'uomo di oggi provoca la tendenza ad anestetizzarlo “attraverso una cieca rincorsa al godimento materiale” che “produce la malinconia di una vita che non trova destinazione all’altezza della sua qualità spirituale”. “Gli uomini e le donne del nostro tempo – a parer del Pontefice – sono spesso demoralizzati e disorientati, senza visione”. Questo avviene perché “il sistema del denaro e l’ideologia del consumo selezionano i nostri bisogni e manipolano i nostri sogni, senza alcun riguardo per la bellezza della vita condivisa e per l’abitabilità della casa comune“.
Una nuova prospettiva etica universale
Il Santo Padre ha esortato i cristiani a reagire di fronte a chi fomenta “divisione, indifferenza, ostilità“. La lettera ha ribadito la necessità di contrastare l'ideologia della “decostruzione dell'umanesimo”: c'è bisogno di “una nuova prospettiva etica universale” che sia attenta ai temi del creato e della vita umana”. “La differenza della vita umana – ha affermato il Papa – è un bene assoluto, degno di essere eticamente presidiato, prezioso per la cura di tutta la creazione. Lo scandalo è il fatto che l’umanesimo contraddica sé stesso, invece di prendere ispirazione dall’atto dell’amore di Dio”. “La Chiesa – ha proseguito – per prima deve ritrovare la bellezza di questa ispirazione e fare la sua parte, con rinnovato entusiasmo“.
La missione della Chiesa
Francesco si è interrogato anche sul ruolo dei credenti nella riapertura di questa nuova prospettiva: “Dobbiamo seriamente domandarci – si legge nella missiva – se abbiamo fatto abbastanza per offrire il nostro specifico contributo come cristiani a una visione dell’umano capace di sostenere l’unità della famiglia dei popoli nelle odierne condizioni politiche e culturali. O se addirittura ne abbiamo perso di vista la centralità, anteponendo le ambizioni della nostra egemonia spirituale sul governo della città secolare, chiusa su sé stessa e sui suoi beni, alla cura della comunità locale, aperta all’ospitalità evangelica per i poveri e i disperati“. Per “una nuova visione per un umanesimo fraterno e solidale dei singoli e dei popoli” i cristiani devono trovare lo slancio nel “mistero della redenzione della storia in Gesù Cristo”. La fraternità universale che ci propone il Vangelo va rimessa al centro della scena perché “una cosa è sentirsi costretti a vivere insieme, altra cosa è apprezzare la ricchezza e la bellezza dei semi di vita comune che devono essere cercati e coltivati insieme. Una cosa è rassegnarsi a concepire la vita come lotta contro mai finiti antagonisti, altra cosa è riconoscere la famiglia umana come segno della vitalità di Dio Padre e promessa di una destinazione comune al riscatto di tutto l’amore che, già ora, la tiene in vita”.
Il lavoro dell'Accademia
Nella missione di costruire una fraternità universale la Chiesa è chiamata a cogliere come un incoraggiamento quei segni “dell'operare di Dio nel tempo attuale“: è la strada indicata da San Giovanni Paolo II che, in quest'ottica, “registrava i gesti di accoglienza e di difesa della vita umana, il diffondersi di una sensibilità contraria alla guerra e alla pena di morte, una crescente attenzione alla qualità della vita e all’ecologia. Egli indicava anche fra i segni di speranza la diffusione della bioetica, come 'riflessione e dialogo – tra credenti e non credenti, come pure tra credenti di diverse religioni – su problemi etici, anche fondamentali, che interessano la vita dell’uomo'”. Il Papa ha riconosciuto all'Accademia di aver lavorato in questo senso: “ne sono testimonianza – ha scritto Bergoglio – l’impegno per la promozione e la tutela della vita umana in tutto l’arco del suo svolgersi, la denuncia dell’aborto e della soppressione del malato come mali gravissimi, che contraddicono lo Spirito della vita e ci fanno sprofondare nell’anti-cultura della morte”. Dunque, ancora una volta una condanna netta dell'aborto e dell'eutanasia. Francesco ha incoraggiato a non compiere inversioni di rotta: “Su questa linea occorre – si legge nella lettera – certamente continuare, con attenzione ad altre provocazioni che la congiuntura contemporanea offre per la maturazione della fede, per una sua più profonda comprensione e per più adeguata comunicazione agli uomini di oggi”.
Nuova alleanza del Vangelo e della creazione
La vita non può essere un concetto astratto ed è un dono di Dio: “L’appartenenza originaria alla carne – ha scritto Francesco – precede e rende possibile ogni ulteriore consapevolezza e riflessione, scongiurando la pretesa del soggetto di essere origine a sé stesso. Possiamo solo diventare consapevoli di essere in vita una volta che già l’abbiamo ricevuta, prima di ogni nostra intenzione e decisione”. Il rispetto della dignità umana è un altro dei temi per cui è nata l'Accademia Pontificia per la Vita. Il “progresso” oggi pone dei problemi seri in questo senso: “Noi sappiamo bene – ha scritto Francesco – che la soglia del rispetto fondamentale della vita umana è violata oggi in modi brutali non solo da comportamenti individuali, ma anche dagli effetti di scelte e di assetti strutturali. L’organizzazione del profitto e il ritmo di sviluppo delle tecnologie offrono inedite possibilità di condizionare la ricerca biomedica, l’orientamento educativo, la selezione dei bisogni, la qualità umana dei legami”. “La possibilità – ha continuato – di indirizzare lo sviluppo economico e il progresso scientifico all’alleanza dell’uomo e della donna, per la cura dell’umanità che ci è comune e per la dignità della persona umana, attinge certamente a un amore per la creazione che la fede ci aiuta ad approfondire e a illuminare”. Un'opportunità può essere rappresentata dalla prospettiva della bioetica globale che, “con la sua visione ampia e l’attenzione all’impatto dell’ambiente sulla vita e sulla salute”, potrebbe aiutare ad “approfondire la nuova alleanza del Vangelo e della creazione“.
Il richiamo a Benedetto XVI
Il terreno in cui ha operato in questi anni l'Accademia è stato al centro del magistero di Papa Benedetto XVI. Francesco ha voluto appellarsi al suo Predecessore nell'affrontare la questione del “ruolo irrinunciabile della responsabilità nel discorso sui diritti umani e la loro stretta correlazione con i doveri, a partire dalla solidarietà con chi è maggiormente ferito e sofferente”. Nella “Caritas Veritate” il Papa Emerito sollecitava una riflessione sul fatto che i diritti presuppongano dei doveri per non correre il rischio di farli sfociare in arbitrio. A conclusione della “Hummana communitas”, Bergoglio ha sottolineato la necessità di comprendere le “trasformazione epocale” provocate dalle “nuove tecnologie emergenti e convergenti” al fine di “individuare come orientarle al servizio della persona umana, rispettando e promuovendo la sua intrinseca dignità”.
La fraternità nella modernità
Francesco ha concluso la lettera, evidenziando ancora una volta il bisogno di un umanesimo moderno: “Le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica – ha osservato il Pontefice – rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato”. “Dobbiamo – ha insistito – riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”. Il Santo Padre ha concluso il suo documento invocando la benedizione del Signore sulla missione dell'Accademia ed ha citato la testimonianza di San Francesco d'Assisi, capace di “riconoscersi fratello di tutte le creature terrestri e celesti, ci ispiri nella sua perenne attualità”.
La conferenza
La lettera è stata presentata in Sala Stampa della Santa Sede con una conferenza stampa moderata dal direttore ad interim, Alessandro Gisotti. Tra i relatori, il Presidente dell'Accademia Pontificia per la Vita. Monsignor Paglia ha sottolineato come la “Humana communitas” “non è semplicemente una lettera di congratulazioni”. In essa, il Papa “ricorda l'attività robusta dell'Accademia, ma la incoraggia a percorrere nuove frontiere che si sono aperte in questi 25 anni”. “E' una lettera – ha dichiarato il presule – che non rinnega nulla del passato ma esorta a includere nuove prospettive” Una precisazione, poi, sul nome: “Il titolo della lettera indica il punto focale di questo impegno. Papa Francesco sottolinea l'indebolimento dei legami della fraternità che è la sostanza della comunità umana”. Monsignor Paglia ha ricordato che la lettera è stata firmata il 6 gennaio ed ha citato la figura dei Re Magi come simbolo di apertura, ricordando che quelli affrontati non sono temi astratti e per questo il motivo il Papa auspica che vi sia una partecipazione. Don Renzo Pegoraro, cancelliere dell'Accademia, ha dedicato il suo intervento a ricordare come la nascita dell'istituzione pontificia fu una “grande intuizione di San Giovanni Paolo II” che si legò “alla tradizione del magistero della Chiesa sui temi sollevati dalla medicina, dallo sviluppo della scienza, e dell'impatto sulla vita umana”. La nascita derivò dalla “necessità di un'accademia che potesse studiare tutte le conseguenze di questo potere che l'uomo aveva tra le sue mani” e offrire soluzioni su “come gestire le nuove prospettive della genetica. Presentata a margine, inoltre, la prossima Assemblea Generale che si terrà in Vaticano, dal 25 al 27 febbraio 2019, nell’Aula Nuova del Sinodo e si concentrerà sul tema “Roboetica. Persone, macchine e salute”.