Questa mattina Papa Francesco ha incontrato i partecipanti alla 95.ma assemblea plenaria della Riunione delle Opere per l’Aiuto alle Chiese Orientali (ROACO). Riportiamo di seguito il discorso integrale del Pontefice.
Il saluto del Papa alla plenaria ROACO
Cari amici, sono lieto di accogliervi questa mattina, a conclusione dei lavori della vostra sessione plenaria. Saluto il Cardinale Sandri, il Cardinale Zenari insieme agli altri Rappresentanti Pontifici, i Superiori e gli Officiali del Dicastero e, attraverso di voi, tutti coloro che in ogni continente rendono possibile la vostra generosità.
L’intuizione stessa della ROACO corrisponde al cammino sinodale che sta compiendo la Chiesa universale; l’iter di presentazione di un progetto di aiuto implica infatti il coinvolgimento di diversi attori: di chi lo presenta, dei professionisti incaricati di offrire il loro contributo, del Vescovo o Superiore religioso, delle Rappresentanze Pontificie, del Dicastero per le Chiese Orientali e di voi Agenzie, con tutti coloro che compongono i vostri Uffici.
Ciascuno ha un ruolo ed è chiamato a dialogare con gli altri consultandosi, studiando, chiedendo e offrendo suggerimenti e spiegazioni, camminando insieme. Gli strumenti informatici che sono in corso di preparazione da parte dei vostri uffici renderanno più efficace il processo, ma è importante che siano a supporto dell’incontro e del confronto che avete maturato in questi anni, aiutando a sviluppare coralmente la sinfonia della carità.
Quando un’orchestra suona un’opera importante, prima di iniziare deve accordare gli strumenti: solo così l’esecuzione sarà degna e rivelerà la bravura dei musicisti. Carissimi, nell’allestire la sinfonia della carità, continuate a ricercare l’accordo e fuggite ogni tentazione di isolamento e chiusura in sé stessi e nei propri gruppi, per restare aperti ad accogliere quei fratelli e quelle sorelle cui lo Spirito ha suggerito di avviare esperienze di vicinanza e servizio alla Chiese Cattoliche Orientali, nella madrepatria come pure nei territori della cosiddetta diaspora.
È importante, per accordarsi, sintonizzarsi nell’ascolto reciproco, che facilita il discernimento e porta a scelte condivise, veramente ecclesiali. Così avete fatto, ad esempio, con l’Assemblea dei Vescovi cattolici di Siria, nella Conferenza realizzata a Damasco a marzo e nella quale sono stati coinvolti attivamente tanti giovani. Nel deserto di povertà e scoraggiamento provocato dai dodici anni di guerra che hanno prostrato l’amata e martoriata Siria, avete potuto scoprire come Chiesa che le sorgenti per far tornare a fiorire le steppe e dare acqua agli assetati sgorgheranno solo se ciascuno saprà abbandonare una certa autoreferenzialità e porsi in ascolto degli altri per individuare le vere priorità.
Certo, si tratta di gocce nell’oceano del bisogno, ma la goccia della Chiesa non può mancare, mentre si attende sempre che la Comunità internazionale e le autorità locali non spengano l’ultima fiammella di speranza per quel popolo tanto sofferente. Lo stile sinodale ha animato anche l’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per il Medio Oriente.
A settembre ricorrerà il decimo anniversario dell’Esortazione Apostolica Ecclesia in Medio Oriente, promulgata dal mio predecessore Benedetto XVI durante il suo Viaggio in Libano. In dieci anni tante cose sono accadute: pensiamo alle tristi vicende che hanno coinvolto l’Iraq e la Siria, agli sconvolgimenti dello stesso Paese dei Cedri. Ci sono state anche alcune luci di speranza, come la firma ad Abu Dhabi del Documento sulla fratellanza umana.
Sarà necessario verificare sul campo i frutti del Sinodo per il Medio Oriente; intanto occorre trovare strumenti aggiornati e modalità adatte per esprimere vicinanza alle Chiese della regione. È da auspicare, inoltre, che riprendano i lavori del tavolo di coordinamento sulla Siria e l’Iraq avviato alcuni anni fa, inserendo anche il Libano nella riflessione comune.
Continuate, vi prego, a tenere dinanzi agli occhi l’icona del buon Samaritano: lo avete fatto e so che continuerete a farlo anche per il dramma causato dal conflitto che dal Tigray ha nuovamente ferito l’Etiopia e in parte la vicina Eritrea, e soprattutto per l’amata e martoriata Ucraina. Là si è tornati al dramma di Caino e Abele; è stata scatenata una violenza che distrugge la vita, una violenza luciferina, diabolica, alla quale noi credenti siamo chiamati a reagire con la forza della preghiera, con l’aiuto concreto della carità, con ogni mezzo cristiano perché le armi lascino il posto ai negoziati.
Vorrei ringraziarvi per aver contribuito a portare la carezza della Chiesa e del Papa in Ucraina e nei Paesi ove sono stati accolti i rifugiati. Nella fede sappiamo che le alture della superbia e dell’idolatria umane saranno abbassate, e colmate le valli della desolazione e delle lacrime, ma vorremmo anche che si compia presto la profezia di pace di Isaia: che un popolo non alzi più la mano contro un altro popolo, che le spade diventino aratri e le lance falci (cfr Is 2,4). Invece, tutto sembra andare nella direzione opposta: il cibo diminuisce e il fragore delle armi aumenta. Non smettiamo perciò di pregare, di digiunare, di soccorrere, di lavorare perché i sentieri della pace trovino spazio nella giungla dei conflitti. Io vi benedico, grato per tutto quello che fate. E vi chiedo, per favore, di continuare a pregare anche per me.