“Le immagini di questa catastrofe, il dolore di questi popoli che soffrono per il terremoto… Preghiamo per loro, non dimentichiamolo, preghiamo e pensiamo cosa possiamo fare per loro”. Papa Francesco, al termine dell’Angelus, invoca ancora una volta una preghiera per le popolazioni di Turchia e Siria, martoriate da uno dei più devastanti terremoti dell’ultimo secolo. Un cataclisma che ha spazzato via in pochi secondi decine di migliaia di vite, in un bilancio tragico peraltro ancora provvisorio, aggravato da dalle cifre riguardanti coloro che hanno perso ogni cosa, case e familiari, per i quali la tragedia continuerà anche quando le macerie saranno rimosse. E il Papa non dimentica di incoraggiare preghiere anche per l’Ucraina, affinché “il Signore apra vie di pace e dia ai responsabili il coraggio di percorrerle”.
L’Angelus
Una riflessione, quella dell’Angelus, che ha orbitato attorno alle parole di Gesù: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”. Un’espressione, questa, che rappresenta una parola-chiave: “Per spiegarla, il Signore comincia a dire che cosa non è compimento. La Scrittura dice di ‘non uccidere’, ma questo per Gesù non basta se poi si feriscono i fratelli con le parole; la Scrittura dice di ‘non commettere adulterio’, ma ciò non basta se poi si vive un amore sporcato da doppiezze e falsità; la Scrittura dice di ‘non giurare il falso’, ma non basta fare un solenne giuramento se poi si agisce con ipocrisia. Così non c’è compimento”. Gesù esemplifica attraverso il rito dell’offerta, tramite il quale “si ricambiava la gratuità dei suoi doni”.
La riflessione del Papa
Un atto simbolico ma del quale Cristo invita alla comprensione: “Gesù afferma che si deve interromperlo se un fratello ha qualcosa contro di noi, per andare prima a riconciliarsi con lui: solo così il rito è compiuto”. Il messaggio, spiega il Papa, è chiaro: “Dio ci ama per primo, gratis, facendo il primo passo verso di noi senza che lo meritiamo; e allora noi non possiamo celebrare il suo amore senza fare a nostra volta il primo passo per riconciliarci con chi ci ha ferito”. Altrimenti, l’osservanza sarebbe puramente rituale. “I comandamenti che Dio ci ha donato non vanno rinchiusi nelle casseforti asfittiche dell’osservanza formale… Gesù vuole questo: non avere l’idea di servire un Dio padrone, ma il Padre; e per questo è necessario andare oltre la lettera”.
L’amore che dà compimento
Una questione che interroga anche l’oggi. L’osservanza formale, spiega il Santo Padre, “si accontenta del minimo indispensabile, mentre Gesù ci invita al massimo possibile”. Dio non ci dice: “Ti amo fino a un certo punto”. L’amore è quello di un innamorato: “Non al minimo, ma al massimo… L’amore vero non è mai fino a un certo punto e non si sente mai a posto; l’amore va sempre oltre, non può farne a meno. Il Signore ce lo ha mostrato donandoci la vita sulla croce e perdonando i suoi uccisori. E ci ha affidato il comandamento a cui più tiene: che ci amiamo gli uni gli altri come Lui ci ha amati”. Questo è l’amore che dà compimento, alla legge e alla fede.