“Interessiamoci di quello che accade, aiutiamo chi soffre e preghiamo”. È un invito e, al contempo, un monito quello di Papa Francesco che, al termine dell’Angelus domenicale, esorta i fedeli a non lasciarsi sopraffare dall’indifferenza. E, men che meno, dall’abitudine ai contesti di sofferenza, quasi come se non esistessero o fossero lontani da noi e dalle nostre quotidianità. “Anche in questo periodo estio – ha detto il Santo Padre – non stanchiamoci di pregare per la pace, in modo speciale per il popolo ucraino, tanto provato. E non trascuriamo le altre guerre, purtroppo spesso dimenticate, e i numerosi conflitti e scontri che insanguinano molti luoghi della Terra”. Interessarsi e pregare. Perché l’attenzione ci consente di essere consapevoli di quanto accade, mentre “la preghiera è la forza mite che protegge e sostiene il mondo”.
L’Angelus del Papa
“Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta”. È quanto dice Gesù, secondo il angelo di Matteo, aprendo a una riflessione sulla figura citata. Chi è il profeta? “C’è chi lo immagina come una sorta di mago che predice il futuro, ma questa è un’idea superstiziosa e il cristiano non crede alle superstizioni, come la magia, le carte, gli oroscopi o cose simili… Altri dipingono il profeta solo come un personaggio del passato, esistito prima di Cristo per preannunciare la sua venuta. Eppure Gesù stesso oggi parla del bisogno di accogliere i profeti”. Dunque, il profeta siamo noi. Ciascuno di noi che, col Battesimo, ha ricevuto “il dono e la missione della profezia”. E questo significa “leggere il presente non come una cronaca, ma sotto l’azione dello Spirito Santo, che aiuta a comprendere i progetti di Dio e corrispondervi”.
Ascoltare e comprendere
Essere profeti è indicare agli altri Gesù, arsi testimoni. E, per questo, è al tempo stesso un’occasione per interrogarci sulla nostra vita di cristiani. “Il Signore nel Vangelo chiede pure di accogliere i profeti; dunque è importante accoglierci a vicenda come tali, come portatori di un messaggio di Dio, ciascuno secondo il suo stato e la sua vocazione, e farlo lì dove viviamo, cioè in famiglia, in parrocchia, nelle comunità religiose, negli altri ambiti della Chiesa e della società”. In questo modo, ha spiegato il Papa, tanti conflitti potrebbero essere evitati o persino risolti, “mettendosi in ascolto degli altri con il sincero desiderio di comprendersi”.