Inermi di fronte ad una folla inferocita, picchiati in casa propria e rinchiusi in una stanza mentre i colpevoli appiccavano il fuoco. È successo circa 10 giorni fa ad Islamabad, in Pakistan. Boota Masih, commerciante di frutta cristiano, è stato quasi bruciato vivo insieme alla sua famiglia dopo essere stato pestato a sangue perché si rifiutava di abbandonare la sua abitazione. L’aggressione, da parte di cittadini musulmani, è avvenuta con lo scopo di “rubare” la sua proprietà. Un fenomeno, quello dei “ladri di terra”, molto diffuso nel Paese asiatico e ad esserne vittima sono le fasce più deboli della popolazione, soprattutto le minoranze religiose.
“Ero terrorizzato. – ha raccontato Masih – Urlavano che avrebbero ucciso me e la mia famiglia se non avessimo lasciato l’abitazione immediatamente”. Al suo rifiuto ad andarsene la folla ha fatto irruzione in casa, brandendo spranghe di ferro e bastoni contro la famiglia del fruttivendolo e chiudendoli poi a chiave in una stanza prima di appiccare il fuoco alla dimora. ”Avevo pagato onestamente il terreno – ha continuato il cristiano – non avevano alcun diritto di cacciarci. Abbiamo pensato di morire”.
La famiglia è stata tratta in salvo attraverso una finestra da altri cristiani locali, sopraggiunti in loro aiuto alla vista dell’incendio. A distanza di 10 giorni, nonostante i testimoni oculari, la polizia della città non ha ancora registrato la denuncia, con il pretesto di dover condurre un’investigazione accurata prima di procedere agli arresti. “Un comportamento impensabile in una società civile – denuncia l’avvocato cristiano Sardar Mushtaq Gill –, che lascia la comunità cattolica di Islamabad terrorizzata. Servono misure severe per far rispettare la legge, un atto del genere non può rimanere impunito”.