Nei 7 anni di “drammatica guerra” in Siria, “sono i leader religiosi i soli a cercare di essere, insieme, operatori di pace. La stessa Aleppo sarebbe stata completamente distrutta senza l’opera di mediazione e di riconciliazione” di cristiani e musulmani, sunniti e sciiti. È quanto racconta p. Ibrahim Alsabagh, 44enne francescano, guardiano e parroco della parrocchia latina di Aleppo, ad AsiaNews, l’organo di informazione del Pime. Secondo p. Ibhaim, la fuoriuscita dopo mesi di guerriglia dei gruppi armati dalla parte est della martoriata città siriana è frutto della “unità di intenti” e “degli sforzi” degli “uomini di religione che sono intervenuti e hanno trovato un accordo”.
Per il francescano, dunque, la fine delle violenze “non dipende dai bombardamenti russi” o dagli interventi militari di Damasco. Il ritorno della pace di quel che rimane della capitale economica e commerciale della Siria è “dovuta alle mosse di riconciliazione fra i diversi gruppi” e per l’intervento dei “leader religiosi cristiani e musulmani”. Nella zona orientale liberata recentemente, infatti, sono stati trovati enormi quantitativi di armi e missili, oltre che di cibo e medicinali. “Si tratta di scorte – sottolinea il francescano – che avrebbero permesso ai gruppi armati di continuare a combattere per anni, finendo così per distruggere la città”.
Martedì scorso i vertici della comunità cristiana locale hanno incontrato il gran muftì della Repubblica siriana, lo sceicco Ahmad Badr El Din Hassun, in visita ufficiale ad Aleppo. “Il gran muftì – racconta p. Ibrahim – ha tenuto un discorso bellissimo, ispirato alla moderazione e tutto incentrato sulla pace e sulla riconciliazione”.
“Noi, come leader cristiani – aggiunge sempre ad Asia News – gli abbiamo rinnovato la nostra disponibilità, le nostre mani tese per continuare insieme questo cammino di pace. Non vogliamo certo permettere che sul terreno siriano vi sia un conflitto di religione o interno ai riti, fra sunniti e sciiti come sta avvenendo in Iraq e come è avvenuto in Libano” negli anni della guerra civile. Per questo, prosegue il sacerdote, “il nostro impegno come capi religiosi cristiani è di continuare a moltiplicare gli sforzi per la pace. In questo senso promuoviamo questi incontri con personalità musulmane, concordiamo visite reciproche e apriamo al confronto con sunniti e sciiti. Il compito dei leader religiosi è proprio questo: essere elementi di pace, custodendo l’unità della società civile, del Paese e proteggendo la dignità dell’uomo”.
“Quello che è successo al convoglio umanitario a Rashideen – afferma ricordando l’attacco costato la vita a 126 persone, tra le quali oltre 60 bambini – è un atto doloroso che ha lacerato i cuori e lasciato grande amarezza”. L’accordo raggiunto sull’evacuazione, spiega, era “un risultato di riconciliazione fra gente sotto assedio di milizie armate”. La zona era sotto il controllo del capo dell’Esercito dell’islam, uno dei gruppi miliziani combattenti in Siria, “è lui che ha fatto l’accordo ed è lui ad averlo fatto saltare”. Un gesto “lacerante” dietro il quale, aggiunge, vi potrebbe essere “il tentativo di alimentare la discordia fra sunniti e sciiti”. “Quello che abbiamo visto ad Aleppo – racconta il francescano – lo abbiamo già visto diverse volte a Homs, scenario in passato di attentati contro alawiti e sciiti”.
Questa orribile guerra, spiega p. Ibrahim, “ha avuto anche un effetto positivo: quello di riavvicinare molte persone alla chiesa e far riscoprire loro la fede”. “Attingiamo da Cristo la forza per la guarigione, sperando che egli possa riportare la gioia e la pace non solo ad Aleppo e in Siria, ma in tutto il Medio oriente. Solo Cristo – conclude il francescano -può dare questa gioia e può essere fonte di guarigione, come ha detto papa Francesco nella benedizione Urbi et Orbi di Pasqua”.