Questa mattina, lasciata la Nunziatura Apostolica di Kinshasa, il Santo Padre Francesco si è trasferito in auto all’aeroporto di N’dolo per la Santa Messa. Sono più di un milione – scrive ANSA– le persone presenti all’aeroporto di N’dolo, a Kinshasa, per partecipare alla messa presieduta dal Pontefice. La stima delle presenze è riferita dalle autorità locali.
Al Suo arrivo, dopo alcuni giri in papamobile tra i fedeli, alle ore 9.30 ha presieduto la Celebrazione Eucaristica in francese e in lingala – lingua bantu parlata nella Repubblica Democratica del Congo – per le diocesi dello Zaire, per la pace e la giustizia. Nel corso della Celebrazione, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato l’omelia che riportiamo integralmente.
L’omelia di Papa Francesco a N’dolo
Bandeko, boboto [Fratelli e sorelle, pace] R/Bondeko [Fraternità]
Bondeko [Fraternità] R/ Esengo [Gioia]
Esengo, gioia: la gioia di vedervi e incontrarvi è grande: ho tanto desiderato questo momento, ci ha fatto aspettare un anno! [ha aggiunto il Pontefice a braccio, ndr] grazie per essere qui! Il Vangelo ci ha appena detto che anche la gioia dei discepoli era grande la sera di Pasqua, e che questa gioia scaturì «al vedere il Signore» (Gv 20,20). In quel clima di gioia e di stupore, il Risorto parla ai suoi. E che cosa dice loro? Anzitutto tre parole: «Pace a voi!» (v. 19).
È un saluto, ma è più che un saluto: è una consegna. Perché la pace, quella pace annunciata dagli angeli nella notte di Betlemme (cfr Lc 2,14), quella pace che Gesù ha promesso di lasciare ai suoi (cfr Gv 14,27), ora, per la prima volta, viene consegnata solennemente ai discepoli. La pace di Gesù, che viene consegnata anche a noi in ogni Messa, è pasquale: arriva con la risurrezione, perché prima il Signore doveva sconfiggere i nostri nemici, il peccato e la morte, e riconciliare il mondo al Padre; doveva provare la nostra solitudine e il nostro abbandono, i nostri inferi, abbracciare e colmare le distanze che ci separavano dalla vita e dalla speranza. Ora, azzerate le distanze tra Cielo e terra, tra Dio e uomo, la pace di Gesù viene data ai discepoli. Mettiamoci dunque dalla loro parte.
Quel giorno erano completamente tramortiti dallo scandalo della croce, feriti dentro per aver abbandonato Gesù dandosi alla fuga, delusi per l’epilogo della sua vicenda, timorosi di fare la sua stessa fine. In loro c’erano sensi di colpa, frustrazione, tristezza, paura… Ebbene, Gesù proclama la pace mentre nel cuore dei discepoli ci sono le macerie, annuncia la vita mentre loro sentono dentro la morte. In altre parole, la pace di Gesù arriva nel momento in cui tutto per loro sembrava finito, nel momento più inatteso e insperato, quando non c’erano spiragli di pace.
Così fa il Signore: ci stupisce, ci tende la mano quando stiamo per sprofondare, ci rialza quando tocchiamo il fondo. Fratelli, sorelle, con Gesù il male non ha mai la meglio, non ha mai l’ultima parola. «Egli infatti è la nostra pace» (Ef 2,14) e la sua pace vince. Allora, noi che siamo di Gesù non possiamo lasciare che in noi prevalga la tristezza, non possiamo permettere che serpeggino rassegnazione e fatalismo. Se intorno a noi si respira questo clima, così non sia per noi: in un mondo scoraggiato per la violenza e la guerra, i cristiani fanno come Gesù. Lui, quasi insistendo, ha ripetuto ai discepoli: Pace a voi! (cfr Gv 20,19.21); e noi siamo chiamati a fare nostro e dire al mondo questo annuncio insperato e profetico di pace.
Ma, possiamo chiederci, come custodire e coltivare la pace di Gesù? Egli stesso ci indica tre sorgenti di pace, tre fonti per continuare ad alimentarla. Sono il perdono, la comunità e la missione.
Vediamo la prima sorgente: il perdono. Gesù dice ai suoi: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati» (v. 23). Ma prima di dare agli apostoli il potere di perdonare, li perdona; non a parole, ma con un gesto, il primo che il Risorto compie davanti a loro. Egli, dice il Vangelo, «mostrò loro le mani e il fianco» (v. 20). Mostra cioè le piaghe, le offre loro, perché il perdono nasce dalle ferite. Nasce quando le ferite subite non lasciano cicatrici d’odio, ma diventano il luogo in cui fare posto agli altri e accoglierne le debolezze. Allora le fragilità diventano opportunità e il perdono diventa la via della pace. Non si tratta di lasciarsi tutto alle spalle come se niente fosse, ma di aprire agli altri il proprio cuore con amore.
Così fa Gesù: davanti alla miseria di chi lo ha rinnegato e abbandonato, mostra le ferite e apre la fonte della misericordia. Non usa tante parole, ma spalanca il suo cuore ferito, per dirci che Lui è sempre ferito d’amore per noi. Fratelli, sorelle, quando la colpa e la tristezza ci opprimono, quando le cose non vanno, sappiamo dove guardare: alle piaghe di Gesù, pronto a perdonarci con il suo amore ferito e infinito. Lui conosce le tue ferite, conosce le ferite del tuo Paese, del tuo popolo, della tua terra! Sono ferite che bruciano, continuamente infettate dall’odio e dalla violenza, mentre la medicina della giustizia e il balsamo della speranza sembrano non arrivare mai. Fratello, sorella, Gesù soffre con te, vede le ferite che porti dentro e desidera consolarti e guarirti, porgendoti il suo Cuore ferito.
Al tuo cuore Dio ripete le parole che ha detto oggi per mezzo del profeta Isaia: «Voglio sanarlo, guidarlo e offrirgli consolazioni» (Is 57,18). Insieme oggi crediamo che con Gesù c’è sempre la possibilità di essere perdonati e ricominciare, e pure la forza di perdonare sé stessi, gli altri e la storia! Cristo questo desidera: ungerci con il suo perdono per darci la pace e il coraggio di perdonare a nostra volta, il coraggio di compiere una grande amnistia del cuore.
Quanto bene ci fa ripulire il cuore dalla rabbia, dai rimorsi, da ogni rancore e livore! Carissimi, sia oggi il momento di grazia per accogliere e vivere il perdono di Gesù! Sia il momento giusto per te, che porti un fardello pesante sul cuore e hai bisogno che sia tolto per tornare a respirare. E sia il momento propizio per te, che in questo Paese ti dici cristiano ma commetti violenze; a te il Signore dice: “Deponi le armi, abbraccia la misericordia”. E a tutti i feriti e gli oppressi di questo popolo dice: “Non temete di mettere le vostre ferite nelle mie, le vostre piaghe nelle mie piaghe”.
Facciamolo, fratelli e sorelle; non abbiate paura di togliere il Crocifisso dal collo e dalle tasche, di prenderlo tra le mani e di portarlo vicino al cuore per condividere le vostre ferite con quelle di Gesù. Tornati a casa, prendete pure il Crocifisso che avete e abbracciatelo. Diamo a Cristo la possibilità di risanarci il cuore, gettiamo in Lui il passato, ogni paura e affanno. Che bello aprire le porte del cuore e quelle di casa alla sua pace! E perché non scrivere nelle vostre stanze, sui vostri abiti, fuori dalle vostre case, le sue parole: Pace a voi? Mostratele, saranno una profezia per il Paese, la benedizione del Signore su chi incontrate. Pace a voi: lasciamoci perdonare da Dio e perdoniamoci tra di noi!
Guardiamo ora alla seconda sorgente della pace: la comunità. Gesù risorto non si rivolge ai singoli discepoli, ma li incontra insieme: parla loro al plurale e alla prima comunità consegna la sua pace. Non c’è cristianesimo senza comunità, come non c’è pace senza fraternità. Ma come comunità, verso dove camminare, dove andare per trovare la pace? Guardiamo ancora ai discepoli. Prima di Pasqua andavano dietro a Gesù, ma ragionavano ancora in modo troppo umano: speravano in un Messia conquistatore che avrebbe cacciato i nemici, compiuto prodigi e miracoli, aumentato il loro prestigio e il loro successo. Ma questi desideri mondani li hanno lasciati a mani vuote, anzi hanno tolto pace alla comunità, generando discussioni e opposizioni (cfr Lc 9,46; 22,24). Anche per noi c’è questo rischio: stare insieme ma andare avanti da soli, ricercando nella società, ma anche nella Chiesa, il potere, la carriera, le ambizioni… Così, però, si segue il proprio io anziché il vero Dio e si finisce come quei discepoli: chiusi in casa, vuoti di speranza e pieni di paura e delusione.
Ma ecco che a Pasqua ritrovano la via della pace grazie a Gesù, che soffia su di loro e dice: «Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,22). Grazie allo Spirito Santo non guarderanno più a ciò che li divide, ma a ciò che li unisce; andranno nel mondo non più per sé stessi, ma per gli altri; non per avere visibilità, ma per dare speranza; non a guadagnare consensi, ma a spendere la vita con gioia per il Signore e per gli altri.
Fratelli, sorelle, il nostro pericolo è seguire lo spirito del mondo anziché quello di Cristo. E qual è la via per non cadere nei trabocchetti del potere e del denaro, per non cedere alle divisioni, alle lusinghe del carrierismo che corrodono la comunità, alle false illusioni del piacere e della stregoneria che rinchiudono in sé stessi? Ce lo suggerisce il Signore ancora attraverso il profeta Isaia, dicendo: «Sono con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi» (Is 57,15).
La via è condividere con i poveri: ecco l’antidoto migliore contro la tentazione di dividerci e mondanizzarci. Avere il coraggio di guardare i poveri e ascoltarli, perché sono membri della nostra comunità e non estranei da cancellare dalla vista e dalla coscienza. Aprire il cuore agli altri, invece di chiuderlo sui propri problemi o sulle proprie vanità. Ripartiamo dai poveri e scopriremo che tutti condividiamo la povertà interiore; che tutti abbiamo bisogno dello Spirito di Dio per liberarci dallo spirito del mondo; che l’umiltà è la grandezza del cristiano e la fraternità la sua vera ricchezza. Crediamo nella comunità e, con l’aiuto di Dio, edifichiamo una Chiesa vuota di spirito mondano e piena di Spirito Santo, libera da ricchezze per sé stessi e colma di amore fraterno!
Arriviamo infine alla terza sorgente della pace: la missione. Gesù dice ai discepoli: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Ci manda come il Padre ha mandato Lui. E come il Padre lo ha mandato nel mondo? Lo ha inviato a servire e a dare la vita per l’umanità (cfr Mc10,45), a manifestare la sua misericordia per ciascuno (cfr Lc 15), a cercare i lontani (cfr Mt 9,13). In una parola, lo ha inviato per tutti: non solo per i giusti, ma per tutti. Risuonano ancora, in questo senso, le parole di Isaia: «Pace, pace ai lontani e ai vicini – dice il Signore» (Is 57,19). Ai lontani, anzitutto, e ai vicini: non solo ai “nostri”, ma a tutti.
Fratelli, sorelle, siamo chiamati a essere missionari di pace, e questo ci darà pace. È una scelta: è fare posto a tutti nel cuore, è credere che le differenze etniche, regionali, sociali e religiose vengono dopo e non sono ostacoli; che gli altri sono fratelli e sorelle, membri della stessa comunità umana; che ognuno è destinatario della pace portata nel mondo da Gesù. È credere che noi cristiani siamo chiamati a collaborare con tutti, a spezzare il circolo della violenza, a smontare le trame dell’odio. Sì, i cristiani, mandati da Cristo, sono chiamati per definizione a essere coscienza di pace del mondo: non solo coscienze critiche, ma soprattutto testimoni di amore; non pretendenti dei propri diritti, ma di quelli del Vangelo, che sono la fraternità, l’amore e il perdono; non ricercatori dei propri interessi, ma missionari del folle amore che Dio ha per ciascun essere umano.
Pace a voi, dice Gesù oggi a ogni famiglia, comunità, etnia, quartiere e città di questo grande Paese. Pace a voi: lasciamo che risuonino nel cuore, in silenzio, queste parole del nostro Signore. Sentiamole rivolte a noi e scegliamo di essere testimoni di perdono, protagonisti nella comunità, gente in missione di pace nel mondo.
Moto azalí na matoi ma koyoka [Chi ha orecchi per intendere] R/Ayoka [Intenda]
Moto azalí na motema mwa kondima [Chi ha cuore per acconsentire] R/Andima [Acconsenta].