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“No a microclimi ecclesiastici, la missione dei Pastori è aiutare il gregge nell’annuncio del Vangelo”

“La missione dei Pastori è quella di aiutare il gregge loro affidato, perché sia in uscita, in movimento nell’annunciare la gioia del Vangelo; non chiuso in circoli ristretti, in ‘microclimi’ ecclesiali che ci riporterebbero ai giorni di nuvole e caligine”. Prende spunto dalle parole del profeta Ezechiele, Papa Francesco, per l’omelia pronunciata durante la celebrazione dei vespri del mercoledì della XXVII settimana del Tempo Ordinario, presieduti presso la Chiesa dei Santi Andrea e Gregorio di Roma. In presbiterio, accanto al Pontefice, l’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby. Il rito si tiene in occasione della commemorazione del 50° anniversario dell’incontro tra il Beato Paolo VI e l’Arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey e dell’istituzione del Centro Anglicano di Roma.

“Il profeta Ezechiele – afferma il Papa -, con un’immagine eloquente, descrive Dio come Pastore che raduna le sue pecore disperse. Esse si erano separate le une dalle altre ‘nei giorni nuvolosi e di caligine’. Il Signore sembra così rivolgerci un duplice messaggio”. Innanzi tutto quello dell’unità, poiché “Dio, in quanto Pastore, vuole l’unità nel suo popolo e desidera che soprattutto i Pastori si spendano per questo”. Poi, viene rivelato il motivo delle divisioni all’interno del gregge: “nei giorni di nuvole e di caligine, abbiamo perso di vista il fratello che ci stava accanto, siamo diventati incapaci di riconoscerci e di rallegrarci dei nostri rispettivi doni e della grazia ricevuta – prosegue Bergoglio -. Questo è accaduto perché si sono addensate, attorno a noi, la caligine dell’incomprensione e del sospetto e, sopra di noi, le nuvole scure dei dissensi e delle controversie, formatesi spesso per ragioni storiche e culturali e non solo per motivi teologici“.

Tuttavia, ciascuno ha la certezza “che Dio è un Pastore instancabile, che continua ad agire, esortandoci a camminare verso una maggiore unità, che può essere raggiunta soltanto con l’aiuto della sua grazia”. Per tanto, ricorda il Pontefice, è necessario pregare, “perché in noi, che pure siamo fragili vasi di creta, Dio ama riversare la sua grazia. Egli è convinto che possiamo passare dalla caligine alla luce, dalla dispersione all’unità. Questo cammino di comunione è il percorso di tutti i cristiani“.

Quindi, il Santo Padre si rivolge ai membri della Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione: “Operare come strumenti di comunione sempre e ovunque” è una grande chiamata. Ciò implica la promozione “dell’unità della famiglia cristiana e l’unità della famiglia umana”. Infatti, come sottolinea il Papa, “i due ambiti non solo non si oppongono, ma si arricchiscono a vicenda. Quando promuoviamo l’apertura e l’incontro, vincendo la tentazione delle chiusure e degli isolamenti, operiamo contemporaneamente sia a favore dell’unità dei cristiani sia di quella della famiglia umana”. In tal modo ci riconosciamo sì come “fratelli che appartengono a tradizioni diverse”, ma “spinti dallo stesso Vangelo a intraprendere la medesima missione nel mondo. Allora sarebbe sempre bene, prima di intraprendere qualche attività, che vi possiate porre queste domande: perché non facciamo questo insieme ai nostri fratelli anglicani?; possiamo testimoniare Gesù agendo insieme ai nostri fratelli cattolici?”.

“Condividendo concretamente le difficoltà e le gioie del ministero che ci riavviciniamo gli uni agli altri. Si tratta sempre e anzitutto di seguire l’esempio del Signore – prosegue Papa Bergoglio -, la sua metodologia pastorale, che il profeta Ezechiele ci ricorda: andare in cerca della pecora perduta, ricondurre all’ovile quella smarrita, fasciare quella ferita, curare quella malata. Solo così si raduna il popolo disgregato“.

Il Pontefice fa, dunque, un riferimento al bastone pastorale di san Gregorio Magno, che proprio dal monte Celio “scelse e inviò Sant’Agostino di Canterbury e i suoi monaci alle genti anglosassoni, inaugurando una grande pagina di evangelizzazione, che è nostra storia comune e ci lega inscindibilmente”. Al centro della parte ricurva di quel pastorale vi è rappresentato l’Agnello, simbolo di Cristo. Quest’immagine ricorda non solo “la volontà del Signore di radunare il gregge e di andare in cerca della pecora smarrita”, ma sembra anche “indicarci il contenuto centrale dell’annuncio: l’amore di Dio in Gesù Crocifisso e Risorto, Agnello immolato e vivente”.

E’ proprio “l’amore dell’Agnello vittorioso sul peccato, e sulla morte, il vero messaggio innovativo da portare insieme agli smarriti di oggi e a quanti ancora non hanno la gioia di conoscere il volto compassionevole e l’abbraccio misericordioso del Buon Pastore. Il nostro ministero – prosegue il Papa – consiste nell’illuminare le tenebre con questa luce”. Riprendendo poi diversi autori cristiani, Papa Francesco ricorda che “i bastoni pastorali, all’altro estremo, hanno spesso una punta”. Questo implica che “il pastorale non ricorda solo la chiamata a condurre e radunare le pecore” ma anche “a pungolare quelle che tendono a stare troppo vicine e chiuse, esortandole a uscire. La missione dei Pastori è quella di aiutare il gregge loro affidato, perché sia in uscita, in movimento nell’annunciare la gioia del Vangelo; non chiuso in circoli ristretti, in ‘microclimi‘ ecclesiali che ci riporterebbero ai giorni di nuvole e caligine”.

“Insieme chiediamo a Dio la grazia di imitare lo spirito e l’esempio dei grandi missionari, attraverso i quali lo Spirito Santo ha rivitalizzato la Chiesa, che si rianima quando esce da sé per vivere e annunciare il Vangelo sulle strade del mondo – conclude Papa Francesco -. Pensiamo a quanto accadde a Edimburgo, alle origini del movimento ecumenico: fu proprio il fuoco della missione a permettere di iniziare a superare gli steccati e abbattere i recinti che ci isolavano e rendevano impensabile un cammino comune. Preghiamo insieme per questo: ci conceda il Signore che da qui sorga un rinnovato slancio di comunione e di missione”.

 

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