Non cāĆØ futuro senza memoria. Sabato a Roma la marcia per ricordare la deportazione degli ebrei e mettere in guardia da ogni forma di antisemitismo.Ā La partenza ĆØ prevista a piazza Santa Maria in Trastevere,Ā alle ore 19:30.Ā Sono passati 76 anni dalĀ 16 ottobre 1943, quando, durante lāoccupazione nazista di Roma, oltre 1.000 ebrei romani furono presi e deportati nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Solo un esiguo numero, 16 persone, tra cui una sola donna, tornarono alle loro case.
In cammino nella cittĆ eterna
La ComunitĆ di SantāEgidio e la ComunitĆ Ebraica di Roma, come ogni anno dal 1994, ricordano questo tragico momento della vita della cittĆ con un āpellegrinaggio della memoriaā.Ā La marcia silenziosa per le vie di TrastevereĀ e del quartiere ebraico sarĆ accompagnata dai cartelli con i nomi dei campi di concentramento nazisti e si concluderĆ al Portico d'Ottavia (Largo 16 ottobre 1943) con gli interventi di rappresentanti delle ComunitĆ e delle istituzioni.Ā Ā
La lezione diĀ Lolek (Karol) e Jurek
Il Pontefice che piĆ¹ di tutti ha favorito il dialogo tra cristiani ed ebrei ĆØ stato Giovanni Paolo II, il primo a mettere piede in una sinagoga dallāepoca di San Pietro. Una vicinanza che affonda le sue radici nella biografica del Papa canonizzato da Jorge Mario Bergoglio.Ā āWadowice, negli anni Trenta del secolo scorso, contava circa diecimila abitanti, e un terzo erano ebrei, tutti con un grande sentimento patriottico – spiega il decano dei vaticanisti, Gianfranco Svidercoschi, ex vicedirettore dellāOsservatore Romano, amico e collaboratore di Karol Wojtyla -. Cattolici ed ebrei vivevano in un clima di serenitĆ , di amicizia, senza conflitti. Karol Wojtyla aveva in classe molti compagni ebrei; giocava a pallone (di solito in porta) con amici ebrei; ebrea era la ragazza del piano di sopra, Ginka, che lo aveva avvicinato al teatro, recitava con luiā. Ed ebreo era, prosegue Svidercoschi, Jerzy Kluger, uno degli amici piĆ¹ cari; Karol lo aveva conosciuto in prima elementare, e ne frequentava la casa, dove andava spesso ad ascoltare la radio o il quartetto musicale, guidato dallāavvocato Kluger, che era anche il presidente della locale comunitĆ ebraica.
A Roma la rinascita
āLolek (Karol) e Jurek (Jerzy), comāerano soliti chiamarsi con il vezzeggiativo, erano rimasti assieme, nella stessa classe, fino alla maturitĆ ginnasiale – racconta Svidercoschi -. Scoppiata la Seconda guerra mondiale, Lolek e suo padre 91 erano fuggiti verso Est, ma poi, con lāesercito russo che avanzava da quella parte, erano tornati a Cracovia. Anche Jurek e suo padre avevano tentato la fuga, ma erano finiti nelle mani dei sovieticiā. Rimaste a casa, a Wadowice, convinte che i nazisti non le avrebbero toccate, le donne della famiglia KlugerĀ āĀ la mamma di Jurek, la sorella Tesia, ventāanni, e la nonna quasi ciecaĀ āĀ erano poi tragicamente scomparse nei campi di sterminio di Auschwitz e di BeÅżec. Jurek aveva combattuto in Italia, nellāesercito del generale Anders. Finita la guerra, si era sposato e, dopo lāInghilterra, era andato a vivere a Roma. āE a Roma, inaspettatamente, aveva incontrato il vecchio amico, Lolek, chāera diventato arcivescovo di Cracovia e stava partecipando ai lavori del Concilio – rievoca Svidercoschi -. Si pensavano morti, invece si erano ritrovati vivi. E quellāamicizia non si era piĆ¹ interrotta, neanche dopo lāelezione pontificia di Lolek. Il Papa lo invitava ogni tanto a pranzo o a cena; continuavano a darsi del tu, a comportarsi come due compagni di scuolaā.
Nel Tempio Maggiore
UnāamiciziaĀ āĀ lāamicizia di una vitaĀ āĀ che ebbe una grande eloquenza simbolica in rapporto al dialogo, promosso dal Vaticano II, tra Roma e lāebraismo. E cāera anche Jurek, quel 13 aprile del 1986, quando il capo della Chiesa cattolica fece quel che, in duemila anni, nessuno dei suoi predecessori aveva osato fare: entrare in una sinagoga. E lƬ, nel Tempio Maggiore, di fronte allāamico ebreo, Jurek, di fronte, idealmente, a tutti gli ebrei nel mondo, di fronte alla memoria dei milioni di ebrei vittime della bestiale follia hitleriana, āil Papa polacco dette nuova forza alle affermazioni del Concilio contro la barbarie dei campi di sterminio, contro lāantisemitismo: richiamĆ² il legame spirituale che unisce indelebilmente ebrei e cristianiā, evidenzia lāex vicedirettore del quotidiano della Santa Sede. Alla fine, volle pregare con i āfratelli maggioriā, come li chiamĆ²: ispirandosi sƬ alla Sacra Scrittura, ma con una definizione che, per la novitĆ che aveva in sĆ©, era a dir poco sconvolgente. Parole ferme, dure, e che, sulla bocca di un Papa, servirono a rompere per sempre con un passato di sospetti, di contrasti. āCosƬ come servirono a cancellare quellāāinsegnamento del disprezzoā chāera andato avanti per secoli, fintanto ad entrare nei libri liturgici e, pur indirettamente, ad alimentare lāantisemitismo – sottolinea Svidercoschi -. Non solo, ma proprio a partire da quelle parole, risuonate per la prima volta in una sinagoga, Giovanni Paolo II ebbe modo di affrontare argomenti rimasti tabĆ¹ per secoli: come la irrevocabilitĆ dellāelezione divina del popolo ebraico; o la unicitĆ e, comunque, la specificitĆ della Shoahā.