Quel giorno, sul Calvario, molte voci tacevano, tante altre deridevano; solo quella del ladrone seppe alzarsi e difendere l’innocente sofferente: una coraggiosa professione di fede. Spetta ad ognuno di noi la decisione di tacere, di deridere o di profetizzare”. E' un messaggio chiaro quello che Papa Francesco lancia nella sua omelia della Santa Messa nello Stadio del Baseball di Nagasaki, pronunciata in occasione della Solennità di Cristo Re. Un invito, dalla città devastata dal secondo ordigno atomico della storia umana e che “porta nella propria anima una ferita difficile da guarire, segno della sofferenza inspiegabile di tanti innocenti”, a ricordare le “vittime colpite dalle guerre di ieri ma che ancora oggi soffrono per questa terza guerra mondiale a pezzi“. Alzare la voce in una preghiera comune ed essere, come il buon ladrone, “capaci di non tacere né deridere, ma di profetizzare con la propria voce un regno di verità e di giustizia, di santità e di grazia, di amore e di pace”.
Il grido del Calvario
Non è un cammino facile quello a cui il Santo Padre ci chiama dalle lontane terre d'Oriente. Sconfiggere la tentazione di sfuggire alla sofferenza attraverso lo scherno richiede un cuore saldo, affinché il Calvario, “luogo di smarrimento e di ingiustizia, dove l’impotenza e l’incomprensione sono accompagnate dalla mormorazione sussurrata e indifferente dei beffardi di turno davanti alla morte dell’innocente”, si trasformi “in una parola di speranza per tutta l’umanità“. Ed è anche un incoraggiamento a rinnovare la propria fede: “Queste terre hanno sperimentato, come poche altre, la capacità distruttiva a cui può giungere l’essere umano. Perciò, come il buon ladrone, vogliamo vivere l’istante in cui poter alzare le nostre voci e professare la nostra fede a difesa e a servizio del Signore, l’Innocente sofferente”. Per questo, Papa Francesco ricorda l'esempio di san Paolo Miki e dei suoi compagni, “come pure le migliaia di martiri che segnano la vostra eredità spirituale. Sulle loro orme vogliamo camminare, sui loro passi vogliamo andare per professare con coraggio che l’amore dato, sacrificato e celebrato da Cristo sulla croce è in grado di vincere ogni tipo di odio, egoismo, oltraggio o cattiva evasione”.
Verso il Regno dei cieli
Ai fedeli di Nagasaki, il Santo Padre ricorda che “la nostra fede è nel Dio dei viventi. Cristo è vivo e agisce in mezzo a noi, guidandoci tutti alla pienezza della vita. È vivo e ci vuole vivi… Se la nostra missione come discepoli missionari è di essere testimoni e araldi di ciò che verrà, essa non ci permette di rassegnarci davanti al male e ai mali, ma ci spinge a essere lievito del suo Regno dovunque siamo: in famiglia, al lavoro, nella società; ci spinge ad essere una piccola apertura in cui lo Spirito continua a soffiare speranza tra i popoli”. E' la meta comune il Regno dei cieli ma non solo per il domani: “La imploriamo e iniziamo a viverla oggi, accanto all’indifferenza che circonda e fa tacere tante volte i nostri malati e disabili, anziani e abbandonati, rifugiati e lavoratori stranieri: tutti loro sono sacramento vivo di Cristo, nostro Re”.