Il Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia è tra i firmatari del documento con il quale la Comunità Papa Giovanni XXIII ha chiesto al parlamento e al governo una legge che contrasti il fenomeno della prostituzione sanzionando il cliente, sul modello di quella già adottata da diversi Paesi europei e auspicata dalla stessa Unione Europea. Dopo l’intervista concessa a In Terris lo scorso 8 febbraio in occasione della Giornata contro la tratta il Patriarca ha rilasciato delle dichiarazioni anche alla Radio Vaticana che di seguito riportiamo integralmente:
“Abbiamo voluto un impegno, quello di chiedere una legge che noi riteniamo giusta, equa, che chiama a responsabilità tutte le persone che in qualche modo sono presenti in questa filiera, e anche il cliente. Quindi si riferisce un po’ al modello nordico, scandinavo, rispetto al modello usato invece in Germania e in Olanda, direi anche con risultati deludenti, perché mi sembra anche che stiano ripensando questo modello in questi Paesi”.
Perché è importante responsabilizzare il cliente?
“Probabilmente, certe volte una serata di noia, un po’ di adrenalina in più, violenta letteralmente una persona. Questo è il punto: responsabilizzare chi è all’origine della domanda, perché se venisse meno la domanda, si interromperebbe questo flusso”.
Questo documento è stato firmato da lei, mons. Moraglia, ma anche da altri vescovi. Quindi vuol dire che la Chiesa su questo fronte – sul fronte della tratta, della prostituzione – è in prima linea?
“Sì. Io qualche volte partecipo, e incoraggio sempre quell’apostolato – l’evangelizzazione di strada – che certe volte prende anche la forma proprio dell’uscita in certe zone difficili della città per incontrare queste persone e cercare di tessere una rete. La Chiesa di Venezia, per esempio, si sta anche attrezzando nel cercare un minimo di strutture per poter gestire quel momento difficile in cui la ragazza, la donna accetta – dopo aver vinto mille difficoltà interiori – di uscire da quel mondo, e allora si tratta di garantire l’inizio di un futuro diverso e poter trovare anche soluzioni, case-famiglia, case d’accoglienza… Ci stiamo attrezzando in questo senso”.
Le istituzioni, soprattutto quelle internazionali, cosa possono e debbono fare per fermare questo fenomeno della tratta, secondo lei?
“Il fenomeno della tratta fa parte un po’ – direi con Papa Francesco – di una cultura che non ha messo la persona al centro; così il fenomeno degli sbarchi, il fenomeno di questi migranti, sfruttati da chi garantisce loro la possibilità di lasciare la loro terra. E’ un discorso culturale-politico che uno Stato da solo non riesce a fare; però, io ripeto che qui l’Europa si gioca un po’ la sua credibilità, ecco. Noi vediamo il bene che può fare l’Europa ma vediamo anche che su certe politiche sociali, e direi anche nei confronti delle persone più fragili, non c’è quella rete che solamente se tessuta a livello continentale e anche planetario, potrebbe essere veramente la via d’uscita, insieme a tanto volontariato, insieme a tanta animazione della società civile. Però, anche il volontariato migliore, la società civile più disponibile se non ha un aiuto dalla grande politica, difficilmente può far fronte a fenomeni che sono veramente epocali e intercontinentali”.