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Messa delle Ceneri: “Preghiera, carità e digiuno possono cambiare la storia”

Riportiamo integralmente l'omelia preparata dal Santo Padre e letta dal Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin

Nel Mercoledì delle Ceneri, giorno di inizio della Quaresima,  ha avuto luogo una celebrazione nella forma delle «Stazioni» romane.

Un momento di preghiera si è tenuto, alle ore 16.30, nella chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, seguito poi dalla processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina alla quale hanno partecipato i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, i monaci benedettini di
Sant’Anselmo, i padri domenicani di Santa Sabina ed alcuni fedeli. Nella basilica, il Segretario di Stato cardinale Pietro Parolin ha presieduto la celebrazione della Santa Messa con il Rito di benedizione e di imposizione delle ceneri.

L’omelia preparata dal Santo Padre Francesco per l’occasione, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, è stata letta dall’eminentissimo cardinale Parolin.

L’omelia

“In questo giorno, che apre il tempo di Quaresima, il Signore ci dice: «State attenti a non
praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6,1). Può sorprendere, ma nel Vangelo di oggi la parola che ricorre più volte è ricompensa (cfr vv 1.2.5.16). Solitamente, al Mercoledì delle Ceneri la nostra attenzione si concentra sull’impegno richiesto dal cammino di fede, più che sul premio a cui esso va incontro. Eppure oggi il discorso di Gesù ritorna ogni volta su questo termine, ricompensa, che sembra essere la molla del nostro agire. C’è infatti in noi, nel nostro cuore, una sete, un desiderio di raggiungere una ricompensa, che ci attira e muove ciò che facciamo. Il Signore distingue però due tipi di ricompensa a cui può tendere la vita di una persona: da un lato c’è la ricompensa presso il Padre e dall’altro la ricompensa presso gli uomini. La prima è eterna, è quella vera, definitiva, è lo scopo del vivere. La seconda, invece, è transitoria, è un abbaglio a cui tendiamo quando l’ammirazione degli uomini e il successo mondano sono per noi la cosa più importante, la maggiore gratificazione. Ma è un’illusione: è come un miraggio che, una volta raggiunto, lascia a mani vuote. L’inquietudine e la scontentezza sono sempre dietro l’angolo per chi ha come orizzonte la mondanità, che seduce ma poi delude. Chi guarda alla ricompensa del mondo non trova mai pace e nemmeno sa promuovere la pace. Perché perde di vista il Padre e i fratelli. È un rischio che corriamo tutti, per questo Gesù ci avverte: «State attenti». È come se dicesse: “Avete la possibilità di godere un’infinita ricompensa, una ricompensa senza pari: badate perciò di non lasciarvi abbagliare dall’apparenza, inseguendo ricompense da quattro soldi, che vi muoiono in mano”. Il rito delle ceneri, che riceviamo sul capo, vuole sottrarci all’abbaglio di anteporre la ricompensa presso gli uomini alla ricompensa presso il Padre. Questo segno austero, che ci porta a riflettere sulla caducità della nostra condizione umana, è come una medicina dal sapore amaro ma efficace per curare la malattia dell’apparenza. È una malattia spirituale, che schiavizza la persona, portandola a diventare dipendente dall’ammirazione altrui. È una vera e propria “schiavitù degli occhi e della mente” (cfr Ef 6,6; Col 3,22), che induce a vivere all’insegna della vanagloria, per cui quel che conta non è la pulizia del cuore, ma l’ammirazione della gente; non lo sguardo di Dio su di noi, ma come ci guardano gli altri. E non si può vivere bene accontentandosi di questa ricompensa. E il guaio è che questa malattia dell’apparenza insidia anche gli ambiti più sacri. È su questo che Gesù insiste oggi: anche la preghiera, anche la carità, anche il digiuno possono diventare autoreferenziali. In ogni gesto, anche nel più bello, può nascondersi il tarlo dell’autocompiacimento. Allora il cuore non è completamente libero, perché non cerca l’amore per il Padre e per i fratelli, ma
l’approvazione umana, l’applauso della gente, la propria gloria. E tutto può diventare una sorta di finzione nei confronti di Dio, di sé stessi e degli altri. Per questo la Parola di Dio ci invita a guardarci dentro, per vedere le nostre ipocrisie. Facciamo una diagnosi delle apparenze che ricerchiamo e proviamo a smascherarle. Ci farà bene. Le ceneri mettono in luce il nulla che si nasconde dietro l’affannosa ricerca delle ricompense mondane. Ci ricordano che la mondanità è come polvere, che viene portata via da un po’ di vento.
Sorelle e fratelli, non siamo al mondo per inseguire il vento; il nostro cuore ha sete di eternità. La Quaresima è un tempo donatoci dal Signore per tornare a vivere, per essere curati interiormente e per camminare verso la Pasqua, verso ciò che non passa, verso la ricompensa presso il Padre. È un cammino di guarigione. Non per cambiare tutto dall’oggi al domani, ma per vivere ogni giorno con uno spirito nuovo, con uno stile diverso. A questo servono la preghiera, la carità e il digiuno: purificati dalle ceneri quaresimali, purificati dall’ipocrisia dell’apparenza, ritrovano tutta la loro forza e rigenerano un rapporto vivo con Dio, con i fratelli e con sé stessi. La preghiera umile, fatta «nel segreto» (Mt 6,6), nel nascondimento della propria camera, diventa il segreto per far fiorire la vita all’esterno. È un dialogo caldo di affetto e di fiducia, che consola e apre il cuore. Soprattutto in questo tempo di Quaresima, preghiamo guardando il Crocifisso: lasciamoci invadere dalla commovente tenerezza di Dio e mettiamo nelle sue ferite le ferite nostre e le ferite del mondo. Non lasciamoci prendere dalla fretta, stiamo in silenzio davanti a Lui. Riscopriamo l’essenzialità feconda del dialogo intimo con il Signore. Perché Dio non gradisce le cose appariscenti; invece ama lasciarsi trovare nel segreto. È “la segretezza dell’amore”, lontana
da ogni ostentazione e da toni eclatanti. Se la preghiera è vera, non può che tradursi in carità. E la carità ci libera dalla schiavitù peggiore, quella da noi stessi. La carità quaresimale, purificata dalle ceneri, ci riporta all’essenziale, all’intima gioia che c’è nel donare. L’elemosina, fatta lontano dai riflettori, dà pace e speranza al cuore. Ci svela la bellezza del dare che diventa un ricevere e così permette di scoprire un segreto prezioso: donare fa gioire il cuore più che ricevere (cfr At 20,35). Infine, il digiuno. Esso non è una dieta, anzi ci libera dall’autoreferenzialità della ricerca ossessiva del benessere fisico, per aiutarci a tenere in forma non il corpo, ma lo spirito. Il digiuno ci riporta a dare il giusto valore alle cose. In modo concreto, ci ricorda che la vita non va sottomessa alla scena passeggera di questo mondo. E il digiuno non va ristretto solo al cibo: specialmente in
Quaresima si deve digiunare da ciò che ci dà una certa dipendenza. Ognuno ci pensi, per fare un digiuno che incida veramente sulla sua vita concreta. Ma se la preghiera, la carità e il digiuno devono maturare nel segreto, non sono segreti i loro effetti. Preghiera, carità e digiuno non sono medicine solo per noi, ma per tutti, perché possono cambiare la storia. Prima di tutto perché chi ne prova gli effetti, quasi senza accorgersene, li trasmette anche agli altri; e soprattutto perché la preghiera, la carità e il digiuno sono le vie principali che permettono a Dio di intervenire nella vita nostra e del mondo. Sono le armi dello spirito, ed è con esse che, in questa giornata di preghiera e di digiuno per l’Ucraina, imploriamo da Dio quella pace che gli uomini da soli non riescono a raggiungere e a costruire. O Signore, Tu che vedi nel segreto e ci ricompensi al di là di ogni nostra attesa, ascolta la preghiera di quanti confidano in Te, soprattutto dei più umili, dei più provati, di coloro che soffrono
e fuggono sotto il frastuono delle armi. Rimetti nei cuori la pace, ridona ai nostri giorni la tua pace. E così sia”.

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