Messa a Santa Marta, il Pontefice: “Il vero digiuno è aiutare gli altri, no alle ‘tangenti della vanità'”

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Le letture del giorno alla Messa del mattino a Casa Santa Marta, presieduta da Papa Francesco, parlano del digiuno e “della penitenza che noi siamo invitati a fare in questo tempo di Quaresima” per avvicinarci al Signore.

Il Vangelo di Matteo recita infatti: “In quel tempo, si avvicinarono a Gesù i discepoli di Giovanni e gli dissero: ‘Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?’. E Gesù disse loro: ‘Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno'”.

Il Salmo 50 canta che Dio gradisce “il cuore penitente, il cuore che si sente peccatore e sa di essere peccatore” esordisce Bergoglio. Nella prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, Dio rimprovera la falsa religiosità degli ipocriti che digiunano mentre curano i propri affari, opprimono gli operai e litigano “colpendo con pugni iniqui”: da una parte fanno penitenza e dall’altra compiono ingiustizie, facendo “affari sporchi”.

Il Signore, invece, chiede un digiuno vero, attento al prossimo: “L’altro è il digiuno ‘ipocrita’ – è la parola che usa tanto Gesù – è un digiuno per farsi vedere o per sentirsi giusto ma nel frattempo ho fatto ingiustizie, non sono giusto, sfrutto la gente. ‘Ma io sono generoso, farò una bella offerta alla Chiesa’ – ‘Ma dimmi, tu paghi il giusto alle tue domestiche? Ai tuoi dipendenti li paghi in nero? O come vuole la legge perché possano dare da mangiare ai loro figli?’”.

Il Papa racconta allora una vicenda capitata dopo la seconda Guerra mondiale al padre gesuita Pedro Arrupe, mentre era missionario in Giappone. Un ricco uomo d’affari gli fece una donazione per la sua attività di evangelizzatrice e con lui c’erano anche un fotografo e un giornalista. Ma la busta conteneva solo 10 dollari:

“Questo è lo stesso che noi facciamo quando non paghiamo il giusto alla nostra gente. Noi prendiamo dalle nostre penitenze, dai nostri gesti di preghiera, di digiuno, di elemosina, prendiamo una tangente: la tangente della vanità, del farci vedere. E quella non è autenticità, quella è ipocrisia. Per questo quando Gesù dice: ‘Quando pregate fatelo di nascosto, quando date l’elemosina non fate suonare la tromba, quando digiunate non fate i malinconici’, è lo stesso che se dicesse: ‘Per favore quando fate un’opera buona non prendete la tangente di quest’opera buona, è soltanto per il Padre’”.

Francesco cita poi il profeta Isaia, laddove il Signore dice agli ipocriti quale sia il vero digiuno. Parole, avverte, che sembrano dette “per i nostri giorni”: “’Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo senza trascurare i tuoi parenti?’”.

“Pensiamo a queste parole, pensiamo al nostro cuore, come noi digiuniamo, preghiamo, diamo elemosine. E anche ci aiuterà – conclude il Santo Padre – pensare cosa sente un uomo dopo una cena, che ha pagato 200 euro, per esempio, e torna a casa e vede uno affamato e non lo guarda e continua a camminare. Ci farà bene pensare quello”.

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