“Uccidere Livatino per tarpare le ali alla comunità ecclesiale”. Il primo giudice Beato

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Domenica sarà beatificato Rosario Livatino. Paradigma di quotidiana santità. Primo giudice elevato agli onori degli altari. Il professor Pasquale Giustiniani insegna Filosofia Teoretica alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Il docente firma la postfazione del libro “Rosario Livatino. Agende non scritte”. Biografia di monsignor Vincenzo Bertolone. Arcivescovo di Catanzaro. Presidente della Conferenza Episcopale Calabra. Postulatore della causa di beatificazione del martire anti-mafia.

Livatino come rinascita

Nell’assassinare il “giudice ragazzino”, i mafiosi provano a “tappare la bocca di un laico cristiano“. Ma insieme, sottolinea Giustiniani, “cercano di tarpare le ali di un’intera comunità ecclesiale”. Che “stava ormai alzando troppo la ‘cresta’”. In sintonia con “la generale rinascita del rinnovamento della catechesi”. E, ancora di più, “in consonanza con la teologia del laicato. Espressa positivamente dal Concilio Vaticano II“.  E ciò “togliendo spazi di potere ritenuti esclusivi”. E “smentendo un dato di fatto”. Ossia che i più giovani, non avendo altro futuro, dovessero lasciarsi ingaggiare. Da chi esercitava il “vero” potere.

Il giudice Rosario Angelo Livatino (Canicattì, 3 ottobre 1952 – Agrigento, 21 settembre 1990)

Verità

“Una Chiesa, quella di cui è esponente Livatino, che cercava appunto di gridare una verità– osserva il professor Giustiniani-. E cioè che essere Chiesa non significa soltanto compiere atti di culto. O presiedere alle esequie. Bensì procedere coraggiosamente. Lungo la scelta dell’evangelizzare. Dell’impegno formativo. E sociale. Della pratica della giustizia. Dell’impegno sociale. In un territorio deprivato. E pressoché abbandonato dai poteri statali“. E conclude lo studioso: “Quella Chiesa bisognava fermare. Attraverso lo stop a Livatino. Perché non osasse di annunciare che la fede si correla con la giustizia. Che la politica non è soltanto affare. Che le forze occulte e deviate non possono, non debbono, avere l’ultima parola. Che non esiste soltanto la corruzione. Che ci può essere una speranza o un futuro».

 

 

Paola Anderlucci: