Il manto offerto alla Madonna di Oropa per la solennità della Quinta centenaria incoronazione è stato realizzato con quindicimila pezzi di stoffa donati dai fedeli con su scritto le loro preghiere.
Oropa è un santuario mariano dedicato alla Madonna Nera situato una dozzina di chilometri a nord della città di Biella, nella frazione omonima. Pio XII l’ha elevato alla dignità di basilica minore nel marzo del 1957. Il manto per la Madonna è lungo venticinque metri. Riportiamo l’intervista ad Alessandra Alberto, ideatrice e capomastro del manto, pubblicata su L’Osservatore Romano.
Il manto della Madonna di Oropa
I frammenti di vita (e di stoffa) che hanno creato il manto dell’incoronazione della Madonna di Oropa. «Perché si accenda una lampadina occorre che qualcuno prema l’interruttore» racconta Alessandra Alberto, ideatrice e capomastro di un’opera imponente, il manto offerto alla Madonna di Oropa in occasione del solenne evento della Quinta centenaria incoronazione, lungo venticinque metri, realizzato con quindicimila pezzi di stoffa donati dai fedeli.
L’idea è nata nel 2014, da un dialogo con il canonico Angelo Stefano Bessone, studioso di Oropa e prevosto del Capitolo di Santo Stefano; l’opera finita è stata affidata a Maria il 29 agosto del 2021. Un evento, quello dell’incoronazione, che si ripete dal 1620 una volta ogni cento anni: la celebrazione sarebbe dovuta essere nel 2020, il ritardo di un anno è stato causato della pandemia. «“Se fanno una corona nuova, bisognerebbe che qualcuno pensasse anche a un manto nuovo”. Lo ha ripetuto in piemontese aggiungendo fàlu ti, fallo tu. L’ho presa come una battuta a mi sono messa a ridere: figuriamoci! — sorride ancora Alessandra, ricordando l’episodio da cui tutto è nato —. Evidentemente però don Bessone, senza immaginarlo (o forse sì) aveva premuto un interruttore e innescato un potente cortocircuito. Tre giorni dopo ilfàlu ti l’idea c’era: era, per così dire, accaduta. Subito gliela racconto, come per continuare un gioco e resto sbalordita, perché il Bessone non solo capisce al volo e approva senza riserve, ma ingiunge anche di portarla avanti».
Il significato del manto della Madonna
Da secoli, il manto della Madonna è un simbolo di protezione che unisce tutto il popolo; per questo il “popolo di Oropa” ha affidato a Maria un frammento della propria vita, ricordo di un momento di gioia o di dolore, di pace familiare o di lacerazione interiore, accompagnandolo con un’intenzione di preghiera.
Da quando è stato lanciato il progetto, nel 2018, le tessere di stoffa arrivate nel santuario hanno dato vita a un immenso ex voto collettivo frutto di ventimila ore di lavoro, cucito nel silenzio della preghiera dalle monache del monastero di Orta San Giulio e da un gruppo di volontarie biellesi.
Il santuario di Oropa
«L’immagine della cattedrale tessile in cui c’è posto per tutti e in cui tutti possono “toccare” la Madonna — continua Alessandra — è intimamente connessa con i fatto che Oropa è casa». Isolato in mezzo alle montagne, custodito da una natura impervia e severa, il santuario di Oropa è un luogo privilegiato. «A differenza di altri santuari qui non si sono verificate apparizioni mariane, non sono comparse fonti miracolose, i tre miracoli ufficialmente riconosciuti sono poco clamorosi e risalgono a molto tempo fa. Ciò che rende Oropa speciale è il grande, mai interrotto flusso di uomini e donne che, nel corso dei secoli, hanno affrontato un viaggio lungo e faticoso per raggiungere proprio questa casa. Per affidarsi, inginocchiarsi davanti alla Signora, implorarla per ogni bisogno e da lei ricevere grazie su grazie. La lunga storia del Santuario registra l’affezione del popolo attraverso un’impressionante mole di documenti e di ex voto. Lo stesso stupefacente assetto edilizio è testimonianza di una Ecclesia che, per poter accogliere tutti i suoi figli, ha dovuto diventare Domus. Costruendo camere su camere su camere per poter accogliere, contemporaneamente, centinaia di pellegrini. La coralità del manto, il suo essere un “noi” è rappresentata dalle migliaia di persone che hanno offerto il loro contributo».
L’amicizia tra i volontari
Lavorare i piccoli pezzi di tessuto, di composizione e provenienza diversa — come abiti da sposa, lenzuola, tute da lavoro, bavaglini, tovaglie — ha contribuito anche a “cucire” e rafforzare l’amicizia tra chi ha partecipato al progetto. Come testimonia Alessandra, in una pagina del suo diario di bordo a metà navigazione, di cui riportiamo uno stralcio. «21 febbraio. Accompagno in monastero Manuele Cecconello, regista, Andrea Tagler, fotografo, Linda Angeli, responsabile delle comunicazioni per il Santuario. Cecconello illustra il suo progetto cinematografico, suor Maria Lucia mostra a tutti alcune foto scattate dalle monache durante la lavorazione del manto. Mi intenerisce un’immagine che fissa un particolare: una tessera con un uccellino è cucita vicino a una tessera con un coccodrillo con la bocca spalancata. È commovente la cura con cui le suore cercano, in ogni pezzo di tessuto, il dettaglio più significativo, e la tenerezza con cui cui costruiscono il dialogo tra le tessere, come un gioco pieno di affetto per cui il coccodrillo se ne starà buono, non divorerà l’uccellino e forse diventeranno amici. La sera scrivo una lunga mail, in cui c’è spazio per la commozione della giornata e per le preoccupazioni del lavoro che ci attende a Biella. Non sarà una passeggiata, ma l’uccellino e il coccodrillo sono di buon auspicio».
Il senso della vita monastica benedettina
Come dice il motto Ora et labora, la vita monastica benedettina è un intreccio di preghiera e lavoro, spiega suor Maria Lucia Ferrari, responsabile del Laboratorio del monastero Mater Ecclesiae di San Giulio di Orta, altra regista dell’impresa. «E nel lavoro, come nei tanti servizi comunitari, la preghiera — quella corale e quella personale che ogni monaco e monaca eleva a Dio nel silenzio della propria cella e del proprio cuore — si incarna, diventa vita. Veramente, c’è un continuo scambio: la preghiera è “lavoro”, impegno serio e coinvolgente, e il lavoro è preghiera, perché tutto ciò che facciamo è — vuole essere, desideriamo che sia — un’offerta al Padre di tutta la fatica umana e una pura lode alla Santissima Trinità: una supplica e un canto. Nel nostro orario quotidiano, al lavoro sono dedicate tre ore al mattino e le ore pomeridiane fino ai Vespri. In questo tempo, ogni sorella è là dove l’obbedienza la manda, impegnata in uno dei Laboratori (restauro tessili antichi, ricamo di paramenti sacri, tessitura, scrittura di icone, artigianato artistico) o nei servizi comunitari. Il lavoro è compiuto in silenzio, e questo ci permette di custodire nel cuore la Parola di Dio ascoltata nelle celebrazioni liturgiche, affinché possa mettervi radici, germinare, fiorire e portare frutto».
Il manto della Madonna di Oropa ha preso forma e vita nel Laboratorio di restauro. «Fin dall’inizio, quando è giunta la proposta (che era ancora solo un’idea) l’adesione è stata corale — continua suor Maria Lucia — l’abbiamo sentita come una chiamata comunitaria a prendere parte a un singolare evento di fede. I fedeli stessi ci hanno insegnato che cosa desiderare dalla quinta incoronazione della Vergine di Oropa. L’arrivo di così tanti frammenti di tessuto, ben oltre ogni aspettativa, ci ha fatto toccare con mano che la fede nel popolo è ancora viva. E il manto appare bellissimo nei suoi mille colori. È come un grido di bambini festanti che si eleva al cielo, come la supplica di figli che tendono le braccia alla loro Madre nel desiderio di essere da lei accolti, come il canto del Magnificat. È la voce di un popolo che ancora si riconosce popolo di Dio, in cammino verso il Cielo, in pellegrinaggio, avanzando insieme, sotto la protezione di Maria, Madre di Dio e Madre nostra. In un tempo di crescente individualismo, questo manto ci insegna e ci mostra la gioia e la bellezza della comunione».
Un’opera d’arte cristiano-relazionale
“Tessere”, contemporaneamente verbo e nome di frammenti di mosaico che ben si sposano con la corona realizzata per il quinto centenario da Luca Cavalca, che si è ispirato all’antica tradizione della tessitura biellese, in dialogo con un Manto della Misericordia povero di materiali ma ricco di storie e di voci. «Quanto al manufatto in sé — scrive Alessandra Alberto in una delle tante mail di lavoro inviate a suor Maria Lucia — anche voi avreste potuto realizzare qualcosa di sontuoso, ricamato, elaborato, spettacolare e ricco. Ogni umile tessera richiede lo stesso tempo che ricamare un fiore, forse di più. Secondo me il Manto inaugura una nuova forma di opera d’arte cristiano-relazionale». Anche in questo caso, «lo spillo punge — scrive Alessandra citando Louise Bourgeois — l’ago ripara».
Di Silvia Giudi da L’Osservatore Romano