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“Lucia e Diego, custodi di tenerezza e umanità”: l’omelia del card. Menichelli

Il testo dell'omelia che il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo emerito di Ancona-Osimo, ha pronunciato domenica 12 gennaio nella parrocchia di San Nicolò di Fabriano ai funerali di Lucia Manfredi e Diego Duca

“Lucia era ricordata per la sua tenerezza oltre che per la sua professionalità. Diego era stimato dai colleghi per la sua umanità. Questi sono valori che dobbiamo continuare a custodire”. E’ uno dei passaggi dell’omelia che il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo emerito di Ancona-Osimo e parente di Lucia, ha pronunciato domenica 12 gennaio ai funerali di Lucia Manfredi e Diego Duca, la coppia morta a Torrette lo scorso 4 gennaio. Nel giorno dell’ultimo saluto nella gremita parrocchia di San Nicolò di Fabriano, il sindaco Daniela Ghergo ha indetto il lutto cittadino. Riportiamo l’omelia integrale del Cardinale.

L’omelia integrale del card. Edoardo Menichelli

“Mi rivolgo a voi con serenità, parlando prima di tutto a me stesso e poi a ciascuno di voi, nella speranza che ciò che sto per condividere possa essere utile a tutti, per avere uno sguardo saggio e consapevole sul dono della vita. Questa liturgia che stiamo celebrando, carissimi, ci invita a riconoscere i suoi contenuti profondi. La liturgia, innanzitutto, è una preghiera: una preghiera adorante, silenziosa, comunitaria. La vostra presenza qui è segno di una comunità che partecipa. Questa liturgia richiede un’attenzione speciale alla misericordia: una misericordia da invocare per i nostri cari Diego e Lucia, una misericordia da chiedere a Dio per loro e per noi stessi, poiché la misericordia divina è grande e avvolge tutto”.

“Questa liturgia porta con sé anche il dolore profondo che la morte provoca. È una preghiera che ci aiuta a riconoscere la nostra fragilità, la nostra finitezza. Questa preghiera, e lo dico in particolare a voi due [rivolgendosi alle madri dei defunti, ndr], è anche attesa di consolazione. La consolazione verrà, carissimi. Pregare è un atto di fede che illumina il nostro cammino. I miei pensieri per voi oggi prendono ispirazione da un versetto del Vangelo di Giovanni. Ricordo le parole che una sorella, Marta, dice a Gesù davanti alla morte del fratello Lazzaro: ‘Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto’. Di fronte alla morte, a tutte le morti, e in particolare a questa morte, ci sentiamo quasi autorizzati a dire: ‘Dov’eri, Signore?’. Perché la morte è una realtà che ci offende profondamente, sempre, ma ancora di più quando arriva in modo improvviso, tragico, in un’età che, secondo la nostra cultura, non dovrebbe essere segnata dalla fine. Avete tutti il diritto, e anch’io con voi, di rivolgere a Dio queste domande”.

“Ma, carissimi, ricordiamo che Dio c’è. Dio c’è quando lasciamo tutto nelle sue mani, Dio c’è quando tremiamo, Dio c’è quando godiamo di un momento di gioia. Dio c’è sempre, anche quando ci affida una vocazione, un matrimonio, o una missione. Il problema è che dobbiamo imparare a consegnarci a Lui, ad essere capaci, con il Suo aiuto, di gestire la vita e di rendere ogni giorno un giorno santo. Dobbiamo recuperare la sacralità della vita e anche del morire. Viviamo in una società che ci abitua al mito della potenza e della sicurezza. Ma noi non siamo né padroni né proprietari di alcuna potenza o sicurezza. Siamo solo amministratori del tempo che ci è stato donato. Possiamo arrabbiarci quanto vogliamo, ma il problema, carissimi, è un altro: siamo chiamati, ciascuno secondo il proprio ruolo e la propria vocazione, a costruire una vita degna, sotto la luce di Dio, per diventare eredi della vita eterna”.

“Lucia e Diego ora riposano in un luogo che chiamiamo ‘cimitero’, parola che significa ‘dormitorio’, luogo di attesa del risveglio. Questo è ciò che Dio ci promette: una vita nuova, illuminata dalla Sua luce. Capisco che per molti questo pensiero possa sembrare difficile, ma vorrei tanto che entrasse nel vostro cuore. Non dite mai: ‘La morte pone fine a tutto’. La morte non chiude l’amore, non spegne la speranza, non annulla il senso della nostra esistenza. Se così fosse, perché saremmo qui? Per fare cosa? Lucia e Diego ci hanno lasciato un’eredità morale e spirituale che dobbiamo custodire. Hanno vissuto con una fede serena, mai convulsa o esibita, ma vissuta come una profonda compagnia con Dio. La famiglia, per loro, non era un giocattolo né una ricerca di piacere, ma una vocazione a costruire un’eredità morale e spirituale, guardando al presente e al futuro. Hanno vissuto con competenza, dignità e tenerezza, soprattutto nel loro lavoro. Lucia era ricordata per la sua dolcezza oltre che per la sua professionalità. Diego era stimato dai colleghi per la sua umanità. Questi sono valori che dobbiamo continuare a custodire”.

Edoardo Menichelli. Credit: STEFANO CAROFEI

“Adesso, [si rivolge al figlio delle vittime, ndr] devo dirti una parola. Questo racconto te lo dico con affetto perché tu possa accoglierla e rifletterci, magari con l’aiuto delle nonne o con il mio. La storia è questa: in un paese di questo mondo c’era una famiglia, un papà e una mamma, come i tuoi genitori. In quella famiglia c’erano anche due bambini birichini: uno aveva la tua età, l’altro era più piccolo. Un giorno, in quella famiglia arriva una novità: una bambina. La bambina nasce, e la mamma è contenta. Ma, per motivi che nessuno di noi ha mai saputo, una settimana dopo la nascita, la mamma muore. Resta il papà con i due figli e la piccola appena nata. Una vita facile? No. All’inizio tutta la comunità aiuta, ma poi si stanca un po’. Un giorno dicono al papà: ‘Carissimo’ – lo chiamano per nome, ma io non posso dirlo – ‘perché non ti risposi?’. Rimasto solo con quei tre bambini, lui risponde: ‘Fate come volete, trovate una donna per i miei figli, e se volete la sposo pure, ma per me la mia sposa non c’è più’. E così avviene. Quel signore oggi non parla più, non si alza più dal letto e, dopo un po’, muore. Restano il bambino birichino, la sorellina di cinque anni e la bambina appena nata”.

“Sai chi era quel birichino? Guardami bene. Quel birichino ero io. Mio papà e mia mamma mi sono stati sempre vicini, e anche quando continuavo a fare il birichino – non fisicamente, ma con i miei atteggiamenti – mi mandavano messaggi, mi indicavano la strada. La cosa bella, Alessandro, è che anche tu avrai accanto chi ti vuole bene. Ma bisogna ricordarli, parlarci. Dopo 70 anni ho custodito la casa dove abitavano loro, anche se ora non c’è più nessuno. Una stupidaggine, forse, ma per me significa che ci sono ancora. E sai cosa ho pensato quando Papa Francesco mi ha nominato cardinale? Il giorno dopo mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Che pensi?’. Io gli ho risposto: ‘Santo Padre, ho pensato a mia mamma e a mio papà, che forse diranno: ‘Ma chi è questo ragazzino? Questo birichino cardinale?'”.

“Ricordati, [il Cardinale si rivolge ancora al bambino, ndr], che sulla nostra vita Dio disegna tutto. E siccome so che sei molto bravo e intelligente, abbi fiducia. Poi ci rivedremo, ma io ti auguro di essere più bravo di me. Figlioli, la vita non è una proprietà: è un dono che tutta la comunità costruisce. Vorrei che questo evento così particolare diventasse un elemento di riflessione. A quel tempo, la mia vita fu sostenuta da una piccola comunità. La comunità intera è custode della vita delle persone. Non è solo custode delle cose. Questo materialismo che ci affonda, che ci semina tristezza, va superato. Guardate con amore, offrite un pensiero, un abbraccio. Solo così potremo restituire alla nostra società freschezza e speranza. Grazie a tutti voi per essere qui oggi. Se vi ho lasciato un pensiero buono, portatelo con voi. Altrimenti, perdonatemi. Grazie”.

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