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L’ecumenismo conciliare di Francesco

L'ecumenismo è un pilastro del pontificato di Francesco che oggi riceve una delegazione della Chiesa luterana finlandese.

Il modello per il dialogo

L’ecumenismo ha nel Concilio il suo momento più alto e intenso. Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è stato uno dei principali intenti del Vaticano II. Conversando con i giornalisti sul volo di ritorno dalla Gmg di Rio de Janeiro, Jorge Mario Bergoglio ha ricostruito le radici ecumeniche e conciliari del proprio pontificato attraverso il debito di riconoscenza verso Angelo Roncalli. “Giovanni XXIII è un po’ la figura del prete di campagna, del prete che ama ognuno dei fedeli, che sa curare i fedeli”, ha sottolineato papa Bergoglio. “E questo lo ha fatto come vescovo, come nunzio. Tante testimonianze di Battesimo false ha fatto in Turchia in favore degli ebrei! Era un coraggioso. Prete di campagna, buono, con un senso dell’umorismo tanto grande e una grande santità”. E ancora: “Quand’era nunzio, alcuni non gli volevano tanto bene in Vaticano, e quando arrivava per portare i conti, o chiedere a certi uffici, lo facevano aspettare. Mai se ne è lamentato. Pregava il rosario, leggeva il breviario… Mai. Un mite, un umile“.

La svolta 

Inquadrare teologicamente la svolta conciliare consente di rintracciarne i tentativi di attuazione nel pontificato riformatore di Jorge Mario Bergoglio. Un'azione costante contro lo scandalo della separazione tra fratelli. Il decreto sull’ecumenismo Unitatis Redintegratio del Concilio rappresenta un punto di arrivo, di non ritorno e di partenza per la Chiesa cattolica, con affermazioni significative e vincolanti per un cammino di fondamentale importanza. Secondo Orioldo Marson, docente di teologia fondamentale e sistematica e direttore dell’istituto di scienze religiose di Portogruaro, la vibrante e commossa preghiera di Gesù (“ut unum sint”, cioè “affinchè siano una cosa sola”) interpella i cristiani a cercare le vie della riconciliazione e del dialogo verso l’unità in Cristo. L’ecumenismo rappresenta un disegno di grazia, posto sotto la forza dello Spirito che ha effuso con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l’interiore ravvedimento e il desiderio dell’unione, un segno dei tempi da riconoscere e accogliere a servizio dell’unità del genere umano. E dallo spirito ecumenico nasce una tensione evangelica rivolta ad abbattere i muri della divisione e a costruire ponti fra l’incontro fra religioni, popoli e culture.

La lezione di Edimburgo

L’inizio del movimento ecumenico moderno risale al 1910, l’anno dell’assemblea missionaria di Edimburgo quando i rappresentanti delle società missionarie protestanti, più di 1300 persone, si riuniscono per trovare rimedio agli scandali e ai danni causati alla missione dalla divisione tra le Chiese. A giudizio di Marson l’annuncio del Concilio da parte di Giovanni XXIII, in un giorno emblematico, il 25 gennaio 1959, nella cattedrale romana di San Paolo fuori le mura, segna una svolta provvidenziale nel cammino ecumenico della Chiesa cattolica. La preoccupazione per l’unità dei cristiani è ben presente nel cuore e nel pensiero di papa Roncalli. Il Concilio ecumenico non ha soltanto lo scopo del bene spirituale del popolo cristiano. Esso vuole essere anche un invito alle comunità separate per la ricerca dell’unità alla quale tante anime aspirano in tutte le parti della terra. L’invito rivolto agli osservatori di tutte le Chiese a presenziare alle assemblee conciliari è un gesto di notevole portata. Dopo anni di silenzi ufficiali, di scambi per lo più sotterranei e lasciati all’iniziativa personale, la Chiesa cattolica coglie l’urgenza del dialogo ecumenico. L’intero Vaticano II si è svolto sotto il segno dell’ecumenismo, per lo spirito presente nei lavori conciliari come anche per la prospettiva generale dei documenti. Nella costituzione sulla Chiesa, la Lumen Gentium, dal punto di vista ecumenico, sono significative due scelte che riguardano la struttura generale del documento. L’esposizione inizia presentando il popolo di Dio nel suo insieme, prima di trattare della costituzione gerarchica della Chiesa. Per Marson se la Chiesa cattolica ha ricevuto dall’esterno l’ecumenismo, con il Concilio ne ha fatto il suo programma. Dal Concilio sono nati gli impulsi che hanno permesso non solo l’istituzione del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, ma anche una lunga serie di dialoghi bilaterali e multilaterali tra le diverse Chiese.

Il frutto del cammino condiviso

La riscoperta della fraternità tra i cristiani, come scrisse Giovanni Paolo II nell’enciclica Ut Unum Sint, rappresenta il grande frutto del cammino ecumenico. Il Concilio ha rappresentato la svolta che ha consentito la partecipazione cattolica al movimento ecumenico. La costituzione del Segretariato per l’unione dei cristiani, la presenza al Concilio di osservatori non cattolici, i documenti conciliari, la domanda e l’offerta di perdono da parte di Paolo VI agli altri cristiani per i peccati commessi contro l’umanità, costituiscono altrettanti elementi di questa svolta. A partire dal 1965 la Chiesa cattolica è entrata in dialogo, a livello internazionale e locale con tutte le altre grandi famiglie di Chiese cristiane. I dialoghi bilaterali con le principali famiglie confessionali e comunioni cristiane mondiali rappresentano una forma di impegno ecumenico particolarmente congeniale alla Chiesa cattolica. Il 5 dicembre 1965, nel corso di un’udienza generale, Paolo VI diceva che il Concilio, per sua natura, è un fatto che deve durare. Se davvero esso è stato un atto importante, storico e, sotto certi aspetti, decisivo per la vita della Chiesa, è chiaro che “noi lo troveremo sui nostri passi ancora per lungo tempo; ed è bene che sia così”. E così è stato, da cinquant’anni a questa parte, senza smentire, nemmeno per un istante, la profetica considerazione del primo papa moderno (come lo hanno definito i biografi) che accompagna la Chiesa a misurarsi con le intuizioni del Concilio Vaticano II, un evento, precisava Paolo VI, che “prolunga i suoi effetti ben oltre il periodo della sua effettiva celebrazione. Deve durare, deve farsi sentire, deve influire sulla vita della Chiesa“.

A grandi passi

In occasione del 50° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II (8 dicembre 1965-2015) è stato pubblicato un volume, Il Concilio Vaticano II in Italia cinquant’anni dopo, curato da padre Aldino Cazzago. Si tratta di una breve raccolta di saggi (la santità, il laicato, il catecumenato, i movimenti e l’arte sacra), scritti con l’intento di aiutare a comprendere in che modo alcuni degli insegnamenti del Concilio sono stati recepiti e poi tradotti nella vita della Chiesa italiana. Oggi, secondo Cazzago, la conoscenza del Concilio, della genesi dei suoi documenti e dei suoi principali protagonisti ha fatto enormi passi in avanti. Grazie, poi, alla recente pubblicazione di numerosi diari, memorie e materiale d’archivio dei protagonisti dei lavori conciliari, si è diffusa una miglior consapevolezza del clima e delle fatiche, delle gioie e delle delusioni che, seppur nascosti, stanno dietro l’elaborazione di ogni documento. Nel dicembre 2015 il sito di informazione religiosa Vatican Insider ha chiesto a Cazzago, direttore della rivista teologica Communio e Provinciale dei Carmelitani Scalzi veneti, di contestualizzare il Concilio e di valutarne le realizzazioni e gli sviluppi nel tempo, a mezzo secolo dalla sua conclusione.

Il carisma carmelitano 

Anche il superiore generale dei carmelitani, padre Anastasio Ballestrero, partecipò al Concilio. Il cardinale Ballestrero, che fu vescovo di Bari e di Torino e presidente della Cei dal 1979 al 1985, ebbe sempre un giudizio assolutamente positivo sul Concilio. Negli ultimi anni della sua vita ripeteva spesso che è necessario continuare a meditare i testi del Concilio e renderli ispiratori dell’opera quotidiana di ciascuno. Paragonava il Concilio ad una primavera che ha avuto anche forti acquazzoni ma dei quali non bisogna avere paura. Intanto, però, molti chiedono un nuovo Concilio, un Vaticano III. A metà degli anni Settanta, il cardinale Pellegrino, conversando con il professor Giuseppe Lazzati disse che nella Chiesa qualcuno era ancora fermo al Vaticano I e che altri erano già passati al Vaticano III. In realtà il Concilio va apprezzato, prima che per le riforme a cui ha dato avvio, per il modo di pensare a cui ha dato forma. Paolo VI, ad una settimana dalla fine dei lavori conciliari, disse che il rinnovamento conciliare non si misura tanto dai cambiamenti di usi e norme esteriori, quanto dal cambiamento di certe abitudini mentali. Quindi, secondo padre Cazzago, sarebbe necessario verificare bene ciò che del Vaticano II è stato attuato e ciò che resta ancora da attuare. Questa richiesta era stata formulata anche da Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000 nella Novo Millennio Ineunte, la lettera nella quale paragona il Concilio ad una “bussola” che la Chiesa deve usare per orientarsi “nel cammino del secolo che si apre”. 

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