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Le persecuzioni religiose non sono roba da Medioevo

Una “disturbante realtà”. Così mons. Antoine Camilleri, sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati, ha definito le persecuzioni religiose: un fenomeno che l'immaginario spesso relega in un passato remoto, ma che, invece, è attuale oggi tanto quanto ieri. L'intervento ha avuto luogo nella basilica romana di San Bartolomeo all'Isola, un luogo simbolico poiché l'Apostolo titolare del luogo è stato egli stesso testimone – dunque martire, secondo l'etimologia del termine – della persecuzione religiosa a motivo della sua fede in Cristo. Mons. Camilleri ha tenuto la sua prolusione a margine della presentazione della Rivista sulla Persecuzione dei Cristiani a riprova dell'attualità di un fenomeno che lo stesso Pontefice ha definto spesso “una sorta di genocidio causato dall'indifferenza generale e collettiva”. 

Le ragioni dell'intolleranza

Secondo mons. Camilleri, i motivi alla base delle persecuzioni religiose riguardano una stortura del concetto di appartenenza: “I cittadini che fanno parte della maggioranza hanno la sensazione che lo Stato sia 'loro' di diritto rispetto ad altri che non fanno parte della stessa religione”. Il rapporto sulle persecuzioni cristiane, commissionato lo scorso dicembre dal ministro degli Esteri britannico, Jeremy Hunt, ha tracciato uno scenario inquientante sulle persecuzioni, intese come un “fenomeno globale che sta crescendo in scala e intensità”. Sulla base dei dati forniti da diverse Organizzazioni non governtative, si calcola che un terzo della popolazione mondiale è affetto da varie forme di persecuzione, con i Cristiani che figurano come il gruppo più perseguitato in assoluto. Secondo i dati emersi dal rapporto dell'organizzazione Open Doors, sarebbero 245 milioni cristiani perseguitati in diversi Paesi per la loro fede, con un aumento già ravvisabile tra 2015 e 2016, dove si è passati da 128 a 144. Gli Stati che rappresentano contesti difficili per le comunità cristiane sono in Asia e, sopratutto, in Medio-Oriente. In quest'area, che rappresenta la culla della religione Cristiana sulle orme di Abramo, si è passati nel giro di pochi anni a una presenza cristiana di solo il 5% a fronte del 20% degli anni precendenti. In area asiatica, la situazione è frammentata perché, se da una parte desta preoccupazione il contesto cinese, d'altro canto sono frequenti episodi di persecuzione violenta, come nel caso dei recenti attacchi dinamitardi alle Chiese in Sri Lanka. Anche il rapporto diramato dalla Commissione degli Stati Uniti sulla libertà religiosa internazionale lo scorso 29 aprile, ha stilato 16 nazioni ritenute preoccupanti per la violazione delle libertà religiose: Myanmar, Cina, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Pakistan, Arabia Saudita, Sudn, Takistin, Turkmenistan, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Russia, Siria, Uzbekistan e Vietnam.

Un'esperienza, tante religioni

I contorni delle persecuzioni religiose non circoscrivono solo poche fedi: “Data questa tragica realtà, non possiamo, nei fatti, ignorare che la persecuzione religiosa sia un'esperienza comune a tante comunità religiose, gruppi e individui sparsi nel mondo. Con sommo dispiacere, riscontriamo che tali crimini vengono perseguiti con impunità e con poco più che un leggero imbarazzo da parte della comunità internazionale” ha ribadito il prelato. La Santa Sede esprime il suo sconcerto non solo per le persecuzioni dei Cristiani, ma anche per i membri di altre religioni, poiché “tali persecuzioni minano la libertà della persona umana e, accanto ad essa, la libertà di aderire, senza paura, al proprio credo religioso”. 

Il ruolo dei leader religiosi

A nome della Santa Sede, mons. Camilleri delega ai leader di tutte le religioni la responsabilità di provvedere al mutuo rispetto della libertà di ciascuno. Un impegno che i capi religiosi debbono consolidare con passi concreti di collaborazione, come testimoniato dal Documento sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune sottoscritto ad Abu Dhabi il 4 febbraio scorso da Papa Francesco e il  Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb: “Insieme Papa Francesco e il Grande Imam – ricorda Camilleri – dichiarano in modo risoluto che le religioni non devono mai incitare alla guerra, a comportamenti di odio, all'ostilità e all'estremismo. Queste realtà tragiche sono conseguenze di una 'devianza' dagli insegnamenti religiosi”. 

Religioni come armi

Un elemento su cui il sottosegretario vaticano ha deciso di soffermarsi riguarda la manipolazione del credo religioso: una minaccia alla convivenza comune e agli ideali di tolleranza: “I governi devono chiedersi fino a che punto sono veramente impegnati difendere le libertà religiose e nel combattere la persecuzione basata sul proprio credo. Com'è possibile che alcuni si astengano dalla condanna di tali atti o addirittura li condannino, pur continuando a “collaborare” politicamente, economicamente, commercialmente, militarmente o in altro modo, o semplicemente chiudendo un occhio, con alcuni dei più manifesti violatori delle libertà fondamentali” si domanda mons. Camilleri. L'intenzione è quella di mettere in luce la contraddizione in cui spesso cadono alcuni Paesi che, seppur vessillo di princìpi volti al rispetto dell'uomo, entrano in affari con realtà che, viceversa, li negano. Situazioni che il Pontefice conosce bene e verso le quali non ha mai risparmiato dure parole di critica. Viene in mente l'omelia che il Santo Padre pronunciò al Sacrario militare di Redipuglia, in Friuli Venezia Giulia, nel settembre 2014 per il centenario della Grande Guerra: un'occasione che gli consentì di manifestare il suo dissenso verso i comportamenti controversi di alcuni Paesi del Vecchio Continente, tra i principali venditori di armi ai belligeranti attivi in zone di guerra. È il fio che richiede la guerra che, come ricordò il Pontefice in quell'occasione, “stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione. Volersi sviluppare mediante la distruzione”.

Religioni e cittadinanza

Attentare alla libertà religiosa non rappresenta una minaccia soltanto per le fedi. Come ha ricordato mons. Camilleri, “Le religioni possono rappresentare un elemento importante volto all'unità e alla pace per tutta la famiglia umana” perché si fondano sul dialogo intercomunitario. La Santa Sede vuole sensibilizzare sulla necessità di alimentare un franco dialogo tra le differenti fedi, “indispensabile al riconoscimento di ciascuno come cittadino”. Pertanto, gli Stati hanno il dovere di proteggere i credenti di qualsiasi fede religiosa per consentire loro di sentirsi parte della società: “Il concetto di cittadinanza – ha ricordato il prelato – è basato sull'uguaglianza di diritti e doveri, per mezzo dei quali ogni cosa concorre alla giustizia. È, pertanto, cruciale stabilire nelle nostre società il principio di cittadinanza piena e rigettare il termine discriminatorio di minoranza che produce sentimenti di isolamento e inferiorità”. Sotto questa prospettiva, la Santa Sede ravvisa nella religione una missione sociale per il rispetto dei diritti umani, in piena conosonanza al magistero della Chiesa di Roma, come già in precedenza aveva ricordato, relativamente alla delicata situazione in Siria, lo stesso Papa Francesco nel discorso tenuto l'8 gennaio 2018 ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede: “Occorre dunque adoperarsi per favorire le condizioni giuridiche, politiche e di sicurezza, per una ripresa della vita sociale, dove ciascun cittadino, indipendentemente dall’appartenenza etnica e religiosa, possa partecipare allo sviluppo del Paese. In tal senso è vitale che siano tutelate le minoranze religiose, tra le quali vi sono i cristiani, che da secoli contribuiscono attivamente alla storia della Siria”. Davanti a un fenomeno crescente, la Chiesa si propone di farsi da argine nel pieno rispetto delle libertà civili dei popoli a dispetto della complessità dei contesti di differenti Paesi, tenendo presenti due coordinate imprescindibili: il Vangelo e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.

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