Il 21 novembre è la Giornata Pro Orantibus dedicata alle comunità di clausura sparse in tutto il mondo.
Cenni storici
Fu Pio XII ad istituirla nel 1953 nel giorno della festa liturgica della presentazione al Tempio di Maria. Con essa, la Chiesa invita i suoi fedeli ad interessarsi dei monasteri e a pregare per chi li anima. Un'occasione per supportare la missione silenziosa e orante delle Claustrali.
La testimonianza all'umanità
In un'epoca in cui sembra vigere quella che il Cardinale Robert Sarah – prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti – ha definito “dittatura del rumore”, l'uomo contemporaneo fatica sempre di più a comprendere chi decide di abbracciare la vita claustrale. Eppure, è proprio in tempi come gli attuali che cresce il bisogno di testimonianze di donazione totale a Cristo come quella che sono in grado di offrire le monache di clausura. Infatti, non c'è nessuno che riesce ad avvicinarsi a Dio più di chi sceglie una vita di preghiera; più si è vicini a Lui, più si è utili agli altri.
I documenti
Nella “Verbi Sponsa”, l'istruzione sulla vita contemplativa del 13 maggio 1999, questo è un concetto che è ben approfondito quando si legge: “Le monache, infatti, vivendo ininterrottamente 'nascoste con Cristo in Dio', realizzano in sommo grado la vocazione contemplativa di tutto il popolo cristiano e divengono così fulgido contrassegno del Regno di Dio“. Papa Francesco è recentemente intervenuto su questo aspetto specifico nella Costituzione Apostolica “Vultum Dei Quaerere”: L’ottavo tema del documento è stato dedicato proprio alla clausura definita “segno dell’unione esclusiva della Chiesa sposa con il suo Signore”. Nel testo, il Pontefice ribadisce l'importanza delle Claustrali che sono un “dono inestimabile e irrinunciabile” della Chiesa. Al tempo stesso, le ha esortate a “sostenere coraggiosamente il combattimento spirituale” sconfiggendo “la tentazione che sfocia nell'apatia, nella routine, nella demotivazione, nell'accidia paralizzante”. Questa scelta di vita non va concepita in senso negativo come una rinuncia a tutto, ma piuttosto deve essere vista – per usare le parole del Papa – come “una storia di amore appassionato per il Signore e per l'umanità”.