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Lavoro, le tre priorità dei vescovi

Rimuovere gli ostacoli per chi il lavoro lo crea; avere istituzioni formative all'altezza delle sfide; una rete di protezione per i soggetti più deboli che sia in grado di reinserirli nel circuito produttivo. Sono le tre urgenze indicate dai vescovi italiani nel Messaggio in occasione della festa del lavoro del 1° maggio. Parole forti, che mentre indicano la strada da percorrere, mettono la classe politica di fronte alle proprie responsabilità, chiedendo non solo interventi concreti ma un innovativo metodo di azione, per creare un lavoro degno, in grado di evitare la caduta nell'abisso della povertà.

Qualità del lavoro

“La quantità, qualità e dignità del lavoro – si legge nel testo elaborato dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, presieduta dall'arcivescovo di Taranto mons. Filippo Santoro – è la grande sfida dei prossimi anni per la nostra società nello scenario di un sistema economico che mette al centro consumi e profitto e finisce per schiacciare le esigenze del lavoro. I due imperativi del benessere del consumatore e del massimo profitto dell’impresa – infatti – hanno finito per mettere in secondo piano le esigenze della dignità del lavoratore indebolendo il suo potere contrattuale, soprattutto nel caso delle competenze meno qualificate”.

Lavoratori poveri

Si tratta di meccanismi che secondo la Cei “sono alla radice di quella produzione di scartati, di emarginati così insistentemente sottolineata da Papa Francesco. E ci aiutano a capire perché ci troviamo di fronte a tassi di disoccupazione così elevati, ancor più tra i giovani, e al fenomeno inedito dei lavoratori poveri. Se un tempo il lavoratore povero era una contraddizione in termini oggi l’indebolimento della qualità e della dignità del lavoro porta al paradosso che avere lavoro (che molte volte rischia di essere un lavoretto saltuario) non è più condizione sufficiente per l’uscita dalla condizione di povertà”.

Diseguaglianze e responsabilità politiche

I vescovi mettono in guardia dalle crescenti diseguaglianze sociali che non sono più soltanto di carattere geografico (nord-sud) ma caratterizzate “dal confine delle competenze”, con un gap crescente “tra un ceto istruito e preparato alle sfide dell’economia globale e un ceto con minori competenze che rischia di finire tra i 'vinti' del progresso, abbandonato sulla riva. Di fronte a questo scenario è innanzitutto necessario innovare il nostro metodo di azione. Farsi prossimo agli ultimi, comprendere e condividere le loro urgenze non è solo un compito pastorale ma diventa un’esigenza fondamentale per l‘intera società in tutte le sue componenti (art. 2 della Costituzione) e un compito ineludibile per la classe politica. Abbiamo bisogno sempre più di forme di sussidiarietà circolare di solidarietà che vedano nuove configurazioni di collaborazione fra tutti i soggetti, senza particolarismi o primogeniture, ma come fondamento e fine del convivere responsabilmente insieme per un futuro di speranza a partire dal lavoro 'centro di ogni patto sociale'”.

Tre urgenze

La prima, affermano i vescovi, “è rimuovere gli ostacoli per chi il lavoro lo crea come sottolineato dal pontefice nel suo discorso all’Ilva di Genova. Creare buon lavoro è oggi una delle più alte forme di carità” e “i mondi della pubblica amministrazione e della giustizia non possono essere distanti e separati da questa sfida e devono porsi l’obiettivo di rimuovere lacci e ostacoli evitando di essere un peso ed un freno”. La seconda “è avere istituzioni formative (scuole, università, formazione professionale) all’altezza di queste sfide. In grado innanzitutto di suscitare nei giovani desideri, passioni, ideali, vocazioni senza le quali non esiste motivazione né sforzo verso l’acquisizione di quelle competenze fondamentali per risalire la scala dei talenti”. Infine, “una rete di protezione per i soggetti più deboli, uno strumento efficace di reinserimento e di recupero della dignità perduta per gli scartati, gli emarginati che desiderano reinserirsi nel circuito di diritti e doveri della società. Su questo punto chiediamo alle nostre forze politiche di superare contrapposizioni strumentali e convergere su un comun denominatore di una rete di protezione universale efficace. Tenendo ben presente che dignità della persona non significa essere destinatari di un mero trasferimento monetario ma piuttosto essere reinseriti in quel circuito di reciprocità nel dare e avere, nei diritti e doveri che è la trama di ogni società. Se è vero che la mancanza di lavoro uccide, poiché genera 'un’economia dell’esclusione e della inequità' e produce inevitabilmente conflitti sociali la risposta al problema non può non essere ambiziosa”.

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