“Lasciamoci consolare da Cristo”

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Lasciamoci consolare dal Signore”, “spogliamoci dai nostri egoismi” senza preferire “lamentele e rancori”. E' l'invito che fa Papa Francesco nel corso dell'omelia pronunciata nella tradizionale Messa mattutina nella Casa Santa Marta, in Vaticano. Il Pontefice, commentando le letture della liturgia odierna, rifeltte sul brano del profeta Isaia, dove Dio promette al popolo d'Israele la consolazione (cfr. Is 35, 1-10). Francesco cita poi Sant’Ignazio che afferma: “è buono contemplare l’ufficio di consolatore di Cristo,” paragonandolo al modo in cui alcuni amici consolano gli altri. Ma subito mette in guardia: “Per lasciarsi consolare da Dio è necessario spogliarsi di tutti gli egoismi e di tutte quelle cose che ci tengono lontano da lui e che noi consideriamo una ricchezza”.

Il “problema” del peccato…

Il Papa ricorda un episodio narrato nel Vangelo di Luca quando Gesù appare agli apostoli. Tanta era la gioia che non potevano credere ai loro occhi: “Tante volte la consolazione del Signore ci sembra una meraviglia”. Poi aggiunge: “Ma non è facile lasciarsi consolare; è più facile consolare gli altri perché, tante volte, noi siamo attaccati al negativo, siamo attaccati alla ferita del peccato dentro di noi e, tante volte, preferiamo rimanere soli, stesi sul letto, isolati. Ma Gesù ci dice sempre: 'Alzati'”. Poi spiega: “Il problema è che 'nel negativo siamo padroni' perché abbiamo dentro la ferita del peccato mentre 'nel positivo siamo mendicanti' e non ci piace mendicare la consolazione”. Per far comprendere meglio questo concetto, il Papa di due tipi di amarezza: “Quando si preferisce il rancore e cuciniamo i nostri sentimenti nel brodo del risentimento, quando c’è un cuore amaro, quando il nostro tesoro è la nostra amarezza. Per questi cuori è più bello l’amaro che il dolce”. “Tanta gente lo preferisce – fa notare Bergoglio -: la radice amara ci porta con la memoria al peccato originale. E questo è proprio un modo per non lasciarci consolare”.

… e quello delle lamentele

C'è poi l’amarezza che “sempre ci porta a espressioni di lamentele”. Ci sono uomini, afferma, “che si lamentano davanti a Dio invece di lodarlo”. Sono “lamentele che come musica accompagna la loro vita”. Il Papa ricorda allora Santa Teresa, quando diceva: “Guai a una suora che dice: ‘Mi hanno fatto un’ingiustizia, mi hanno fatto una cosa non ragionevole’”. Ricorda il profeta Giona, che Francesco definisce “premio Nobel delle lamentele”: “fuggì da Dio perché si lamentava che il Signore gli avresse fatto qualcosa, poi finì annegato e ingoiato dal pesce e dopo tornò alla sua missione. Ma invece di rallegrarsi per la conversione della gente, si lamentava perché Dio la salvava”. “Anche nelle lamentele ci sono delle cose contradditorie”, aggiunge raccontando di aver conosciuto un buon sacerdote che però si lamentava di tutto. “Aveva la qualità di trovare la mosca nel latte. Era un bravo sacerdote, nel confessionale dicevano che era tanto misericordioso, era anziano e i suoi compagni di presbiterio parlavano di come sarebbe stata la sua morte. Quando sarebbe andato in cielo dicevano: ‘La prima cosa che dirà a San Pietro, invece di salutarlo, è: ‘Dov’è l’inferno?’, sempre il negativo. E San Pietro gli farà vedere l’inferno. E dopo averlo visto ‘Ma quanti condannati ci sono?'. E il Santo: ‘Soltanto uno’. E il prete: ‘Ah, che disastro la redenzione’”.

Serve coraggio per essere salvati

Questo succede sempre, prosegue il Papa, ma aggiunge: “Davanti all’amarezza, al rancore, alle lamentele, la parola della Chiesa di oggi è 'coraggio'”. Infatti, il profeta Isaia invita ad avere coraggio perché Dio “viene a salvarti”. Infine, Francesco cita il Vangelo odierno (cfr. Lc 5,17-26), quando alcune persone vanno sul tetto, perché c’era molta folla, e calano il paralitico per metterlo davanti a Gesù. “Non hanno pensato che c’erano gli scribi o altri, volevano soltanto la guarigione di quell’uomo. Il messaggio della Liturgia di oggi è quello di lasciarsi consolare dal Signore”. “E non è facile perché per lasciarsi consolare dal Signore ci vuole spogliarsi dei nostri egoismi, di quelle cose che sono il proprio tesoro, sia l’amarezza, siano le lamentele, siano tante cose. Ci farà bene oggi, ognuno di noi, fare un esame di coscienza: com’è il mio cuore? Ho qualche amarezza lì? Ho qualche tristezza? Com’è il mio linguaggio? È di lode a Dio, di bellezza o sempre di lamentele? E chiedere al Signore la grazia del coraggio, perché nel coraggio viene Lui a consolarci e chiedere al Signore: Signore, vieni a consolarci”.

Fabio Beretta: