Il Signore viene; oggi, primo giorno dell’Anno liturgico, questo annuncio segna il nostro punto di partenza: sappiamo che, al di là di ogni evento favorevole o contrario, il Signore non ci lascia soli”. E' una perpetua preghiera per la pace quella che accompagna Papa Francesco durante la celebrazione eucaristica in rito zairese, per il 25esimo anniversario della nascita della Cappellania cattolica congolese di Roma. Una celebrazione che assume ancor più significato nel giorno che segna l'inizio dell'Avvento: “Gesù viene: l’Avvento ci ricorda questa certezza già dal nome, perché la parola Avvento significa venuta. Il Signore viene: ecco la radice della nostra speranza, la sicurezza che tra le tribolazioni del mondo giunge a noi la consolazione di Dio, una consolazione che non è fatta di parole, ma di presenza, della sua presenza che viene in mezzo a noi”.
Il “no” subdolo
Una venuta che non è solo quella di duemila anni fa, e nemmeno quella che ci sarà alla fine dei tempi. Gesù “viene anche oggi nella mia vita, nella tua vita. Sì, questa nostra vita, con tutti i suoi problemi, le sue angosce e le sue incertezze, è visitata dal Signore. Ecco la sorgente della nostra gioia”. Un verbo, il “venire”, che “non si coniuga solo per Dio, ma anche per noi“. Ai fratelli e le sorelle venuti da lontano, il Santo Padre ricorda che “giunti qui, avete trovato accoglienza insieme a difficoltà e imprevisti. Ma per Dio siete sempre invitati graditi. Per Lui non siamo mai estranei, ma figli attesi. E la Chiesa è la casa di Dio: qui, dunque, sentitevi sempre a casa”. A volte, ha spiegato il Pontefice, “alla luce del Signore si possono preferire le tenebre del mondo. Al Signore che viene e al suo invito ad andare a Lui si può rispondere 'no, non ci vado'. Spesso non si tratta di un 'no' diretto, sfrontato, ma subdolo“. Un “no” da cui Gesù ci mette in guardia, esortandoci a sfuggire alla tentazione dell'indifferenza nei confronti di ciò che verrà, per abbandonarci ai vizi del presente: “In altre parole, tutti riducevano la vita ai loro bisogni, si accontentavano di una vita piatta, orizzontale, senza slancio. Non c’era attesa di qualcuno, soltanto la pretesa di avere qualcosa per sé, da consumare. Attesa del Signore che viene, e non pretesa di avere qualcosa da consumare noi. Questo è il consumismo“.
Il virus che intacca la fede
Ed è proprio dal consumismo che Papa Francesco ha messo in guardia, etichettandolo come “un virus che intacca la fede alla radice” perché “ti fa credere che la vita dipenda solo da quello che hai, e così ti dimentichi di Dio che ti viene incontro e di chi ti sta accanto… Nel Vangelo, quando Gesù segnala i pericoli per la fede, non si preoccupa dei nemici potenti, delle ostilità e delle persecuzioni. Tutto questo c’è stato, c’è e ci sarà, ma non indebolisce la fede. Il vero pericolo, invece, è ciò che anestetizza il cuore: è dipendere dai consumi, è lasciarsi appesantire e dissipare il cuore dai bisogni”. Il dramma di oggi, ha detto il Papa, è il viere di cose senza sapere più per cosa: “Si butta via il tempo nei passatempi, ma non si ha tempo per Dio e per gli altri. E quando si vive per le cose, le cose non bastano mai, l’avidità cresce e gli altri diventano intralci nella corsa e così si finisce per sentirsi minacciati e, sempre insoddisfatti e arrabbiati, si alza il livello dell’odio”. E questo si vede dove il consumismo impera: “Quanta violenza, anche solo verbale, quanta rabbia e voglia di cercare un nemico a tutti i costi! Così, mentre il mondo è pieno di armi che provocano morti, non ci accorgiamo che continuiamo ad armare il cuore di rabbia“. Da tutto questo Gesù vuole ridestarci, invitandoci a vegliare poiché chi vigila non cede al sonno e conserva una “speranza certa: che la notte non durerà sempre, che presto arriverà l’alba”.
E anche per questo “oggi – ha concluso il Papa – preghiamo per la pace, gravemente minacciata nell’Est del Paese, specialmente nei territori di Beni e di Minembwe, dove divampano i conflitti, alimentati anche da fuori, nel silenzio complice di tanti. Conflitti alimentati da coloro che si arricchiscono vendendo le armi”.