Svolta in India sul piano della libertà religiosa. L’Alta Corte di Bombay ha stabilito, infatti, che il governo non può “costringere una persona a dichiarare la sua religione in qualsiasi documento pubblico o altra modalità”. La sentenza ribadisce dunque la laicità della democrazia indiana e mette fine a una disputa presente anche in altri paesi asiatici (ad esempio in Indonesia occorre affermare il proprio credo addirittura sulla carta d’identità).
La decisione è arrivata dopo il ricorso presentato da Ranjit Mohite, Kishore Nazare e Subhash Ranware, tre cittadini che si erano visti rigettare una pratica amministrativa nel Maharashtra (uno Stato indiano) in quanto alla voce “religione” avevano scritto “nessuna”. Il giudice ha stabilito che ogni persona, in India, ha il diritto di affermare di non aderire a nessuna confessione. In particolare i magistrati hanno fatto riferimento all’art. 25 della Costituzione, che tutela la libertà di coscienza. Nessuna autorità statale, dunque, può violare questa prerogativa.
I tre firmatari del ricorso (riporta Fides) appartengono al “Full Gospel Church of God” (che conta circa 4mila membri). Si tratta di un’organizzazione che dichiara di “Credere in Gesù Cristo ma non nella religione cristiana” e di non volersi far identificare come seguaci di alcun credo.