Un’invasione allegra e colorata. E’ quella dei ministranti che in questi giorni sono giunti a Roma da 19 Paesi di tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Belgio, dall’Ungheria ad Antigua e Barbuda, con una grandissima prevalenza di tedeschi, che sono circa 50.000 sui 60.000 chierichetti partecipanti al 12esimo pellegrinaggio internazionale.
L’evento, iniziato oggi, è stato presentato dal presidente del Coetus Internationalis Ministrantium, il vescovo serbo Ladislav Nemet e da mons. Stefen Oster, della Commissione pastorale giovanile della Conferenza episcopale tedesca. Con loro anche la vicepresidente del Cim, Klara Csiszar, Alexander Bothe, responsabile del pellegrinaggio per la Conferenza episcopale tedesca, e Jonas Ferstl, un chierichetto tedesco.
Una testimonianza molto interessante, la sua, visto che in Italia è difficile vedere ministranti oltre i 10-12 anni. Jonas ne ha 18 e poche settimane fa ha fatto la maturità. Ma non è un caso unico: come ha spiegato mons. Nemet, l’età dei partecipanti al pellegrinaggio va dai 13 ai 23 anni, a seconda delle culture e delle consuetudini dei diversi Paesi. Jonas ha spiegato di essere diventato chierichetto perché “dopo la prima comunione volevo sapere di più della Chiesa e della fede. Per me è stata una forte emozione. E’ importante e bello servire all’altare anche perché comporta una certa disponibilità che si offre e che dovrebbe ripertersi in famiglia, a scuola, con gli amici. Disponibiltà ad aiutare perché siamo nella stessa barca. La fede per me – ha raccontato – significa una cosa vissuta. Alcune settimane fa è morto mio nonno; in casi del genere si sente quanto è importante la fede. Il lutto non è più così grave quando si crede che poi ci si rivede tutti”.
Esperienze che comunque sono di per sé una testimonianza forte. Come ha spiegato mons. Oster, alcuni ragazzi “devono quasi giustificarsi per essere interessati alla fede, devono quasi scusarsi per essere parte della Chiesa. A volte in classe si sentono dire ‘quanto sei coraggioso’… Ci sono forze che si oppongono alla Chiesa. Il pellegringgio è uno dei modi più adatti per fare esperienza nella fede e porre le basi per ottenere frutti per il futuro”.
Mons. Nemet ha spiegato che il pellegrinaggio vuole essere “una affermazione coraggiosa, una testimonianza” che i cattolici possono offrire di una “comunità vivente” con un “approccio multiculturale”, un “carattere internazionale” ognuno con le sue preghiere e canzoni ma con “un solo motto, un solo logo, presente in 40 colori diversi”. “Mi auguro – ha detto il presule – che il pellegrinaggio sia un’esperienza utile e arricchente per tutti” in cui “scambiarci unicità e diversità, promuovere cultura e fede ma non a costo degli altri, escludendoli o demonizzandoli. Lanciamo ponti sulle nostre diversità per vivere in armonia e coesistenza cristiana. Non costruiamo muri e steccati e ci auguriamo che i ragazzi, alcuni dei quali vengono per la prima volta, in particolare da Stati Uniti e Caraibi, possano sentirsi come appartenenti alla famiglia della Chiesa, alla famiglia di Dio”.
Mons. Oster ha sottolineato la grande partecipazione dalla Germania: “Forse qualcuno si perderà per strada per il clima e gli scioperi – ha scherzato il vescovo salesiano – ma è incredibile quanto sono ansiosi di partecipare, hanno una grande motivazione”. Una presenza “fondamentale. In un mondo sempre più secolarizzato i ministranti sono coloro che più facilmente possono essere avvicinati alla liturgia attraverso cui conoscono Cristo, lo incontrano, diventano comunità in preghiera e qui gioca il suo ruolo la Chiesa universale. Possono essere messaggeri di pace, sono fiducioso che come Chiesa potremo contribuire all’unità europea e a creare maggior senso di appartenenza piuttosto che allontanamento e presa di distanza”.
Ci saranno esperienze spirituali, come è normale, ma non mancheranno momenti di svago, di divertimento (è in programma anche una gita al mare e “la caccia al miglior gelato di Roma”) e culturali. Lo ha spiegato Bothe ricordando che il clou dei quattro giorni romani sarà l’udienza di domani pomeriggio a piazza S. Pietro con il Papa. Un incontro preceduto da una festa, con i contributi di alcuni Paesi, danze liturgiche, una manifestazione di street art denominata “spray and pray”. Tre ministranti, da Ucraina, Stati Uniti e Germania, porteranno doni al S. Padre tra cui l’unico foulard bianco (ogni Paese e alcune diocesi tedesche avranno invece il loro colore peculiare, una quarantina in tutto). Poi saranno celebrati i vespri nella memoria di S. Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù. Un pellegrinaggio tecnologico grazie all’app “Go Rome”, con giochi, informazioni, traduzione in streaming e contenuti spirituali che al termine diventerà “Go home” per riportare a casa l’esperienza romana. “Dio è giovane – ha concluso Bothe citando il Papa – e lo è anche la Chiesa: abbiamo messaggi da portare oltre le porte delle chiese e oltre ogni confine”.
E l’Italia? “Molti gruppi hanno chiesto informazioni ma non si sono iscritti – ha spiegato mons. Nemet – per cui abbiamo solo un gruppo parrocchiale da Genazzano. Il problema è che non esiste nella Cei un ufficio di riferimento per i chierichetti e diventa impossibile rapportarsi con le singole parrocchie. La partecipazione al pellegrinaggio dipende molto dalle Conferenze episcopali, dal loro sostegno. Ad esempio – ha concluso – grazie alla Germania sono potuti venire ragazzi di altri tre Paesi”.