Locanda del Buon Samaritano”. È la missione della Chiesa ricordata da Papa Francesco nel messaggio diffuso in occasione della ventottesima Giornata mondiale del malato, che ricorre oggi: “La Chiesa vuole esser sempre più e sempre meglio la 'locanda' del Buon Samaritano che è Cristo, cioè la casa dove potete trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell'accoglienza, nel sollievo”. Accoglienza e sollievo sono le due chiavi di lettura per questa giornata, ma stridono con la realtà di tanti malati nel mondo.
Nel punto più basso
Ogni anno a Lourdes convergono decine di milioni di pellegrini. Il suo cuore è un luogo pulsante come la presenza della Vergine Maria che, dal 1858, si approssima ai sofferenti come una madre. All'ombra della grotta non c'è mistero, ma al contrario la Rivelazione di Cristo, debole fra i deboli. Lo ricorda anche Papa Francesco nel messaggio sopraccitato: “Perché Egli stesso si è fatto debole, sperimentando l’umana sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre” scrive. È in questa vicinanza che Dio si affianca ai malati, per ricordare loro l'aspetto più importante: non saranno mai dimenticati. “Il luogo mariano è il contrario del mondo” dice a Interris.it Palmino Paolucci, a Lourdes dal 2010. È lui a spiegare che fino all'Ottocento nella città ai piedi dei Pirenei, la grotta mariana era una sorta di “discarica”, dove grufolavano i maiali. È simbolico che l'antro più basso dell'umanità sia divenuto il luogo di incontro dei sofferenti, che il mondo e quella che Papa Francesco ha definito “cultura dello scarto” considera ultimi. La grotta come simbolo vivente del Vangelo, sulle orme di Cristo che si approssima al lebbroso, la stesso che – secondo la tradizione ebraica – era costretto a vivere lontano dai centri abitati, col capo coperto e costretto a gridare, alla presenza di altri, “Impuro!Impuro!”.
Palmino, qual è il suo legame con Lourdes?
“Sono membro della Comunità della Papa Giovanni XXIII dal 2004 e da dieci anni vivo in questo posto bellissimo. Inizialmente ho lavorato come cameriere e nel settore alberghiero, ma da cinque anni lavoro nell'équipe liturgica. Vivo in questo luogo con la mia famiglia: mia moglie Lucia e i nostri otto figli, insieme ad altri tre figli che abbiamo adottato”.
Come vive la sua famiglia in un luogo dove arrivano milioni di malati?
“Viviamo Lourdes come una grazia. Sono un privilegiato, la grotta è un luogo di pace e serenità. Lì si scopre l'essenza della vita. Lourdes è un luogo che mostra come il Signore agisce. Il paese ha due rocce: su una è costruito il castello, l'altra corrisponde alla grotta delle apparizioni. Le due grotte sono in due punti opposti della città. Eppure la Madonna appare nel punto più sporco, come per dire: Io ci sono nella sofferenza e nel peccato, perché non bisogna essere degni, bisogna esser presenti”.
Quale storia l'ha colpita particolarmente?
“Penso a Daniela, la ragazza tetraplegica che abbiamo ospitato a casa nostra. Ma, più di tutti, nella mia memoria è impresso Francesco, un ragazzo di 18 anni, malato terminale di cancro. Faceva il musicista, poi la malattia gli ha portato via anche la possibilità di suonare. Quando è venuto a casa nostra, avevo paura. La sofferenza fa paura…Eppure quella stessa sera, quando ha parlato della sua sofferenza con i miei figli, lo ha fatto in un modo bellissimo”.
Che ricordo le ha lasciato Francesco?
“Il ricordo più forte lo ebbi quando lo accompagnai alla piscina. Spogliandosi, vidi che aveva una grande cicatrice dallo sterno alla pancia…sembrava una croce. Dopo il bagno, si rivolse a me dicendo: 'Mi piacerebbe capire perché tutta questa sofferenza, ma ho capito che questa sofferenza la devo donare'. Francesco è morto tre settimane dopo quel giorno. Per me è stato una grande lezione. Se sua madre era venuta per il miracolo, lui mi ha mostrato che la sofferenza era il modo migliore per la guarigione…donarsi agli altri. Dovevo partire per Guadalupe dopo qualche giorno: ho saputo della sua morte il giorno che sono atterrato in America Latina”.
Che cos'è Lourdes per un malato?
“La cosa più bella che vivi a Lourdes è che la sofferenza non è mai nascosta. A Lourdes i sofferenti sono al primo posto, nelle processioni sono davanti a tutti, nella chiesa anche davanti a tutti. Il contrario di ciò che accade nel mondo. Per capire bene, faccio quest'esempio. A Lourdes ci sono circa 600 disabili che vivono in un istituto di cura: non sono mai usciti di lì e gli abitanti della stessa città non li conoscono. Ad aprile accoglieremo uno di loro, si chiama Pascal. Lo dico per far capire come a Lourdes il sofferente è al primo posto. Nel mondo, fa paura la sofferenza, preferiamo non vederla. Ma la Madonna ha detto: 'Venite in processione alla fonte, riapritevi all'amore e costruite una cappella, è Lui che vi aspetta, venite a incontrarLo'. Perché, nel momento di sofferenza, Lui è già lì accanto al sofferente e non ha paura di sporcarsi”.
Quali altre iniziative state portando avanti?
“Abbiamo avviato una collaborazione tra la Comunità Papa Giovanni XXIII e una fondazione di Parigi per costituire un'associazione di diritto francese allo scopo di creare una struttura di accoglienza per i senzatetto. Mi viene in mente un clochard, Christie, che incontrai cinque anni fa per le strade di Lourdes. Col tempo fu assuefatto dalla droga e morì. A ottobre la casa di accoglienza, voluta anche su sollecitazione del vescovo, aprirà anche per onorare la sua memora…
Lourdes ricorda al mondo che il bene è più silenzioso del male, ma è tantissimo, allo stesso modo in cui la vita vince anche sulla sofferenza più forte. Che questa giornata sia l'occasione per ricordare un mondo fatto per la felicità e il rispetto gli uni degli altri, che è rivelazione della cura che abbiamo per il prossimo”.