In India la libertà religiosa è in pericolo. L’allarme accomuna organizzazioni per i diritti umani. Leader della Chiesa. Attivisti della società civile. Tutti esprimono “profonda preoccupazione”. Per il numero crescente di stati che stanno optando per leggi anti-conversione in India. Queste norme, riferisce Fides, spesso sono strumentalizzate e abusate per penalizzare le minoranze religiose. O i missionari.
Emergenza India
Il vescovo ausiliare, monsignor Joseph Pamplany è membro della Commissione per la dottrina. La Conferenza dei vescovi cattolici dell’India protesta. “Le leggi anti-conversione come vanno contro lo spirito della Costituzione indiana. Che garantisce a un cittadino di professare, proclamare e predicare liberamente qualsiasi religione di propria scelta. Secondo coscienza”. Per il vescovo Pamplany, le leggi anti-conversione “prendono di mira le minoranze religiose. In particolare cristiani e musulmani. Con il pretesto di controllare la conversione. Con lusinghe o con la forza“. Papa Francesco ha più volte richiamato la centralità della libertà religiosa tra i diritti fondamentali di ogni essere umano.
Diritti negati
Shibu Thomas, attivista cristiano impegnato a documentare i casi di violenza contro i cristiani in India, rilancia l’appello attraverso Fides. “Tutti gli stati indiani dovrebbero abrogare le loro leggi anti-conversione. Perché ledono il diritto costituzionale delle persone di scegliere la propria religione“. Il censimento indiano del 2011 ha mostrato che, sulla popolazione indiana di 1,3 miliardi, gli indù sono 966 milioni (circa l’80%). Mentre i musulmani sono 172 milioni (circa il 14%). E i cristiani sono 29 milioni (circa il 2,3% della popolazione). L’Uttar Pradesh, lo stato più popoloso dell’India settentrionale (204 milioni di abitanti), ha approvato il disegno di legge. Vieta la conversazione religiosa con mezzi fraudolenti. O con qualsiasi altro mezzo indebito. Incluso il matrimonio.