Il futuro della Bolivia si sta giocando in queste ore nelle strade. La tensione aumenterà: per ora ci sono solo 30 feriti ma temo che presto ci saranno morti e il presidente Morales decreterà lo stato d’emergenza per sei mesi, con i militari nelle strade. Un copione già visto. Rischiamo di diventare la brutta copia del Venezuela, perché l’economia boliviana non è più sostenibile”. A parlare al Sir è il vescovo Eugenio Coter, fidei donum bergamasco e vicario apostolico di Pando, nel nord della Bolivia. Missionario da 28 anni in Bolivia, mons. Coter è reduce dai lavori del Sinodo per l’Amazzonia. In questi giorni è preoccupato per le tensioni e gli scontri a Santa Cruz, La Paz e a Cochabamba, con una trentina di feriti.
Le proteste
Le proteste sono iniziate otto giorni fa contro presunti brogli nelle presidenziali che hanno visto la vittoria del presidente Evo Morales, al quarto mandato. “Morales ha una base agguerrita – osserva mons. Coter –, uno zoccolo duro che rappresenta il 34% della popolazione e manifesta armato di bastoni”. La Chiesa boliviana ha chiesto un ballottaggio che non c’è stato e anche mons. Coter è molto critico: “I dati delle elezioni sono cambiati inspiegabilmente e i brogli sono stati riconosciuti dagli osservatori dell’Organizzazione degli Stati americani e da numerose realtà della società civile”. Tra le colpe del governo Morales, a suo avviso, ci sono le scelte economiche, con ricadute negative sulla popolazione: “Nel 2006 eravamo il quinto Paese al mondo produttore di soia, quest’anno abbiamo cominciato ad importarla. Stiamo comprando all’estero 700 milioni di alimenti al mese e siamo indebitati con la Cina. Non ci sono imprese che generano economia, le riserve di gas sono finite. È un peccato, perché in lui erano riposte tante speranze, ma ha tradito il progetto Paese”. Mons. Coter, che in passato ha lavorato nella mediazione dei conflitti a Cochabamba, sostiene che durante questi anni ci siano stati “oltre 100 morti, più che con il precedente presidente. E 1.200 persone hanno ottenuto lo status di rifugiato politico all’estero”. “C’è il rischio che la gente, esasperata, usi violenza e si arrivi ad uno scontro più forte – conclude -. Perché è la seconda volta che si truffa sui voti”.