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La conferenza episcopale indonesiana: difendere i matrimoni misti

I matrimoni misti fra fedeli di religione diversa vanno sempre riconosciuti, garantiti e tutelati. La Conferenza episcopale indonesiana assume una posizione di rottura rispetto alle leggi del Paese musulmano più popoloso al mondo. Secondo la legislazione locale infatti a un’unione civile segue sempre la celebrazione di una funzione religiosa, unica garanzia di un legame riconosciuto, in cui i due sposi devono necessariamente professare la stessa fede: “una relazione matrimoniale ha valore legale solo se la cerimonia nuziale è svolta secondo riti e norme appartenenti a una religione – è scritto nella legge 1 del 1974”. Considerando che Indù e musulmani sono contrari alle unioni miste, quella cattolica è l’unica religione schierata in difesa della libertà di culto all’interno del matrimonio.

Negli ultimi mesi, grazie anche al lavoro di accademici e studiosi di quattro università di Jakarta, si è aperto un dibattito sulla possibilità di una revisione normativa della costituzione. La proposta è stata depositata alla Consulta nel luglio 2014 e verte su tre aspetti: l’impossibilità di riconoscere una unione a livello civile, se prima non vi è l’approvazione di una religione (fra quelle riconosciute dallo Stato); il veto alle unioni, se i due coniugi provengono da fedi diverse; il comma che esorta entrambi i coniugi a professare la medesima religione.

Nel settembre scorso l’allora ministro per gli Affari religiosi Lukman Hakim ha però confermato la validità delle norme in atto ed escluso il bisogno di una revisione costituzionale aggiungendo che prima di un qualsiasi intervento del legislatore, è necessario consultare i leader religiosi, in particolare gli esperti di legge islamica.

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