In Birmania, nello Stato di Rakhine, si apre uno spiraglio di pace per 209 profughi musulmani ai quali viene concessa la cittadinanza per tutelarli dalle sempre più frequenti violenze confessionali ad opera della maggioranza islamo-buddista. Tutto questo è stato reso possibile dal governo birmano che sta adottando un programma pilota per monitorare lo status degli sfollati.
Il progetto, partito ufficialmente ieri, si pone come obiettivo principale quello di proteggere circa un milione di musulmani tra cui spicca la minoranza Rohingya, da sempre vittima di abusi e apartheid. Ad oggi i dati parlano di circa 140mila persone obbligate a sfollare in seguito alle persecuzioni ad opera soprattutto dei buddisti Arakan. Per porre fine a queste violenze è dovuta intervenire a più riprese anche la Chiesa cattolica birmana.
Questo progetto pilota non convince molto le comunità musulmane perché esse non vogliono che, una volta ottenuta la cittadinanza, vengano definiti “bengali” e cioè immigrati irregolari. Inoltre le associazioni a favore dei diritti umani criticano con veemenza il fatto che funzionari delle Nazioni Unite, presenti nel Myanmar, non usino più il termine Rohingya per evitare problemi sia con il governo birmano che con i capi religiosi buddisti.