“Non si può abolire lo Ior: gran parte della Chiesa del mondo è povera, ha bisogno di finanziamenti per costruire scuole, ospedali, centri di assistenza, seminari. Il problema è un altro, ci vuole il massimo di trasparenza e di pulizia” così spiega Guzman Carriquiry Lecour, uno dei più stretti collaboratori di curia del Pontefice e segretario delegato alla guida della Pontificia commissione per l’America Latina. Anche se Francesco sembrava intenzionato a farlo “si può dire – afferma nel libro ‘La banca del Papa’ firmato dal vaticanista Francesco Peloso – che questa impostazione alla fine abbia prevalso, per quanto le competenze dell’istituto siano in fase di ridefinizione”.
“A far entrare nel vortice mediatico il tema del superamento dello Ior era stato – ricorda Peloso – lo stesso Francesco, con una serie di affermazioni fatte nel corso di una di quelle omelie mattutine pronunciate nella casa di Santa Marta, dove spesso, con un linguaggio discorsivo, affronta temi delicati e controversi. La mattina del 24 aprile – a poco piu’ di un mese dalla sua elezione, quindi – di fronte a una delegazione di dipendenti dello Ior che assisteva alla messa, il papa aveva detto: ‘Quando la Chiesa vuol vantarsi della sua quantità e fa delle organizzazioni, e fa uffici e diventa un po’ burocratica, la Chiesa perde la sua principale sostanza e corre il pericolo di trasformarsi in una Ong’ “. Al contrario la Chiesa “è una storia d’amore” ha affermato sempre il Pontefice. “Gli uffici sono necessari”, “ma sono necessari fino a un certo punto” disse infine. L’intervento sembrava quindi voler essere una critica, sia pure espressa in termini colloquiali, a una certa gestione iperburocratica della macchina curiale, arrivando perfino a dire che nessun ufficio era indispensabile, Ior compreso. Peloso sottolinea che questo è stato un “messaggio in linea con quanto Francesco stava dicendo fin dal primo giorno del suo Pontificato”.
Tuttavia è evidente che qualche sensibilità fosse stata urtata. Lo si capisce già quando l’edizione del giorno stesso dell’Osservatore Romano pubblica l’omelia di Bergoglio omettendo il passaggio sullo Ior e successivamente, sulla stampa, le parole del Pontefice venivano interpretate come l’evocazione di una possibile soppressione dell’istituto. Dovette intervenire il sostituto della segreteria di Stato, monsignor Angelo Becciu, di nuovo attraverso l’Osservatore Romano, per chiarire l’incidente: “il Papa è rimasto sorpreso nel vedersi attribuite frasi che non ha mai pronunciato e che travisano il suo pensiero. L’unico cenno in merito è stato durante una breve omelia a Santa Marta, fatta a braccio, in cui ha ricordato in modo appassionato come l’essenza della Chiesa consista in una storia di amore tra Dio e gli uomini, e come le varie strutture umane, tra cui lo Ior, siano meno importanti”.
Anche il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, coordinatore del gruppo dei nove porporati che affiancano il vescovo di Roma nel governo della Chiesa universale, ha presentato diverse volte la complessità della questione legata alla necessità di svincolare il Papa da compiti che esulano dal suo mandato principale. Peloso da parte sua sembra soddisfatto della soluzione di mantenere lo Ior: “queste voci che nascevano dal fastidio crescente dell’opinione pubblica per un Vaticano sempre più prigioniero di scandali e traffici poco chiari, non corrispondevano alle esigenze reali di una Chiesa che non poteva da un giorno all’altro veder crollare le proprie entrate. Il realismo, insomma, doveva accompagnare la riforma e il cambiamento; per questo, in definitiva, furono scelte le parole chiave trasparenza e pulizia, dove la prima faceva riferimento all’introduzione di un sistema di norme internazionalmente riconosciute e la seconda alla necessità di chiudere l’epoca dei conti e dei clienti sospetti o inconfessabili nello Ior, così come dei consulenti affaristi nei vari dicasteri”.