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“Io, alla gogna per un'Ave Maria”

Nella giornata tipo di un giovane universitario, lunga e frenetica, venti secondi rappresentano una frazione infinitesimale. Eppure, dall’eco mediatica che la vicenda ha assunto, sembra che quei venti secondi passati venerdì scorso, in un’aula di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, pesino come un’enorme pietra di scandalo.

È successo che la prof.ssa Clara Ferranti abbia interrotto la sua lezione di fonetica per recitare un’Ave Maria, invitando gli studenti ad unirsi alla preghiera. Il breve slancio devozionale ha suscitato però roventi polemiche. La questione è finita persino in Parlamento, con un’interrogazione di Sinistra Italiana al Ministero dell’Istruzione “per un’evidente lesione del principio di laicità dello Stato”. È intervenuto anche il vescovo di Macerata, mons. Nazzareno Marconi, con una efficace lettera pubblicata su EmmeTv. La prof.ssa Ferranti ha rilasciato un’intervista a In Terris.

Professoressa, può raccontarci cos’è successo?
“Avevo deciso di aderire con il cuore all’invito partito da un’associazione mariana di pregare per la pace e contro la violenza del fondamentalismo islamico alle ore diciassette e trenta di venerdì 13 ottobre. In un primo momento avevo pensato di sospendere la lezione, ma poi ho sentito di interrompere per un breve momento e coinvolgere gli studenti che avessero voluto”.

È stato un gesto coercitivo nei confronti degli studenti?
“Assolutamente, non c’è stata nessuna costrizione. Ho chiesto agli studenti di alzarsi, invitando poi i credenti che lo avessero voluto a pregare con me e i non credenti a rimanere in piedi per rispetto. Non è vero – come invece ho letto da qualche parte – che ho lanciato occhiatacce o “parole di disapprovazione” agli studenti che “sono usciti” (e nessuno è uscito) o che non hanno pregato. È successo tutto in venti, massimo venticinque secondi: ho recitato un’Ave Maria, un Gloria al Padre e poi abbiamo ripreso la lezione fino al termine”.

Ha avvertito gesti di disappunto tra gli studenti?
“Mi rendo conto che si sia trattato di un gesto spiazzante, che normalmente non si fa in un’Università pubblica. Ho avvertito un brusio alla fine della preghiera ed allora ho deciso di rivolgermi agli studenti con queste parole: ‘Guardate che abbiamo fatto una cosa seria, chi ha pregato lo ha fatto con un’intenzione’”.

La vicenda è finita anche in Parlamento: un deputato, Giovanni Paglia, ha rivolto un’interrogazione al Ministero dell’Istruzione sostenendo che l’intenzione di questa preghiera lascerebbe intendere “anche una sorta di disprezzo verso le altre religioni”…
“Come ho detto, l’intenzione era per la pace e contro la violenza, compresa quella del fondamentalismo islamico. Non si tratta di disprezzo verso una religione, verso l’Islam, piuttosto di una preghiera per un genere di violenza che con la religione non ha nulla a che vedere. Si tratta di una preghiera “umana” prima di tutto, nel senso che interessa l’umanità e il mondo in cui oggi viviamo. Clamoroso che la vicenda sia arrivata in Parlamento, è dovuto a questo tam-tam creato dal mondo dei social network, capaci di ingigantire qualsiasi avvenimento. Ciò testimonia inoltre la leggerezza della nostra classe politica, perché un’interrogazione al Ministero non la si fa soltanto se si legge un articolo di giornale”.

Si sarebbe mai immaginata questo putiferio?
“Mai. Mi ha allibita anzitutto la reazione spropositata del rettore e degli studenti. Questi ultimi si definiscono maturi, avrebbero potuto alzarsi ed uscire oppure interrompermi per manifestare il loro dissenso. Io li avrei rispettati. E invece hanno preferito tacere, per poi esprimere la loro indignazione sul blog del collettivo di sinistra Officina Studentesca e sul gruppo Facebook del corso di laurea in lingue.

Forse nessuno è intervenuto per sudditanza psicologica nei confronti di un professore. Forse temevano di esporsi anche in vista dell’esame…
“È un’accusa diffamatoria pensare che ci potesse essere una ritorsione da parte mia all’esame. Chi mi conosce, sa benissimo che non guardo in faccia nessuno: se uno studente è preparato, bene; se non lo è, può anche essere mio figlio, ma viene bocciato. E chi mi conosce sa anche che c’è sempre la massima disponibilità al dialogo con gli studenti, a spiegazioni ulteriori, alla correzione di esercizi fatti a casa prima dell’esame”.

Prima ha fatto riferimento alla reazione del rettore, che ha definito “censurabile” il suo gesto…
“Ha avuto una reazione impulsiva, basandosi soltanto su quanto riportato da un blog. Sarebbe stato corretto che, prima di rilasciare dichiarazioni pubbliche, si fosse accertato presso la diretta interessata, che sarei io e che lavoro nell’Università da lui governata”.

Non crede di aver violato il principio di laicità dello Stato, dal momento che insegna in un’Università pubblica?
“Trovo assurda e ridicola questa accusa, anzitutto perché io stessa sono una laica. E poi perché, secondo una corretta pedagogia, occorre rivelarsi per quello che si è in tutti gli aspetti della propria persona per instaurare un rapporto docente-discente veritiero, altrimenti il rapporto educativo sarebbe falsato e pertanto negativo. Ebbene, io in quei venti secondi ho mostrato una parte di me stessa: sono cattolica e non ho motivo di vergognarmene. Poi, per entrare nel merito della legittimità: se esiste una legge che vieti di fare una preghiera in luogo pubblico, qualcuno me la mostri. Non sono una giurista”.

Crede che se avesse dedicato quei venti secondi a una riflessione per una delle tante minoranze che si definiscono oppresse, anziché le critiche, avrebbe ricevuto il plauso?
“È probabile. Mi permetta una battuta, senza voler alzare nuovi polveroni: forse se avessi pregato come fanno i musulmani, non ci sarebbero state queste polemiche…”.

La sua vicenda attesta un livore diffuso nella società nei confronti di chi si professa pubblicamente cristiano?
“Sicuramente. Ma dimostra anche altro, che il mondo cattolico ha bisogno di essere svegliato dal torpore: questa vicenda ha spinto molti credenti a scrivermi messaggi di solidarietà. Ecco, forse c’è bisogno di più coraggio nel professare la propria fede, basta un piccolo input che lo zelo del credente sgorga poi da solo”.

Mons. Marconi ha sottolineato che questa vicenda dovrebbe aiutarci a riflettere sulla preghiera, definita un tesoro che “possediamo senza apprezzarne adeguatamente il valore e l’importanza”…
“Sono molto legata a mons. Marconi, che definisco un pastore con la “P” maiuscola. Ci siamo sentiti per telefono a seguito di questa vicenda, è un mio sostegno spirituale, ma non solo: all’Università sono coordinatrice a livello locale di un progetto nazionale che si snoda in nove atenei italiani per tener viva la memoria della Shoah. Quando ci sono incontri relativi a questo progetto, io invito il vescovo come autorità a rivolgere un saluto ufficiale”.

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