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In trent’anni vocazioni calate del 16%

Amaggio 2019 erano presenti in Italia 32.036 sacerdoti diocesani (un prete ogni 1900 abitanti). Nel 1990 erano 38 mila sacerdoti (un prete ogni 1500 abitanti). Il calo è stato del 16%. In un terzo delle 25.610 parrocchie italiane in trent’anni si è passati da un unico pastore a una gestione collegiale di più preti occupati in più parrocchie, oppure a un unico parroco condiviso con altre parrocchiele. Lo rivelano i dati sugli ultimi trent’anni (1990-2019) dell’Istituto centrale per il Sostentamento del Clero, forniti a La Stampa da Franco Garelli, sociologo delle Religioni.

Invecchiamento del clero

A causa dell’invecchiamento (dopo gli 80 anni i preti non possono più essere impegnati in ruoli pastorali attivi) il calo effettivo è stato del 25%. I preti con oltre 80 anni erano il 4.3% del clero nel 1990, sono il 16.5% nel 2019. I preti con più di 70 anni erano il 22.1% del clero nel 1990, sono il  36% nel 2019. I preti con meno di 40 anni erano il 14% del clero nel 1990; sono il 10% nel 2019. L’età media dei preti era di 57 anni nel 1990, di 59 anni nel 2000, 60 anni nel 2010, 61 anni nel 2019.  Nel 2019 un terzo dei preti in Italia ha più di 70 anni,  un quinto ha più di 80 anni, il 10% ha meno di 40 anni. Il 45% dei sacerdoti è al nord. Il 20,6% al centro. Il 34,4% al sud e isole. Dal 1990 al 2019, il clero del Nord si è ridotto del 27%%, quello del Centro del 12%, quello del sud e isole è aumentato del 3.5%.

Guida spirituale e impegno sociale

Il 60% degli attuali 18-29enni italiani ha frequentato i cortili dell’oratorio. Pur in un contesto in cui è sempre più diffusa l’idea che la parrocchia sia una formula datata, il 25% della popolazione parla di tanto in tanto con una figura religiosa di questioni personali. Ma il calo delle vocazioni è incessante. “Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: i fedeli che praticano (peraltro in calo costante pure loro) devono abituarsi alla scomparsa della tradizionale figura del parroco che, oltre a essere guida unica della chiesa vicino a casa, si occupa in prima persona dei sacramenti e del culto – osserva il quotidiano diretto da Maurizio Molinari – E non solo: anche dell’oratorio e delle attività sociali. Quella sorta di punto di riferimento comunitario di democristiana memoria è ormai raro. Il modello don Camillo, reso immortale dai romanzi di Guareschi e dal volto di Fernandel, è in costante declino.

La geografia del calo

La crisi, riferisce la Stampa, colpisce molto più il Nord, e in parte il Centro, che il Sud e le Isole. La palma nera se la contendono il Piemonte (pur terra dei santi sociali), la Liguria e anche il Triveneto, che proviene da una lunga tradizione cattolica. In 30 anni queste regioni hanno perso un terzo del loro clero. Il segno meno coinvolge anche la Lombardia (-19%), “dove il cattolicesimo si mantiene vivace e organizzato, con i suoi oratori e un volontariato di prim’ordine”, evidenzia il professor Garelli. Varie regioni del Sud (Calabria, Campania, Puglia, Basilicata) invece sono in controtendenza, hanno oggi più clero e vocazioni del passato, in media sono chiese più giovani e vivaci. Insomma, col passare degli anni, il clero diocesano si sta meridionalizzando. Altre prospettive riportate dalla Stampa che confermano il trend: la quota del clero giovane e l’età media. I preti con meno di 40 anni erano il 14% 29 anni fa, mentre oggi rappresentano non più del 10%. E nel 1990 in media un sacerdote aveva 57 anni, oggi 62 anni. “Siamo di fronte a un clero in età da pensione, se applichiamo a questa categoria criteri che valgono per la maggior parte dei lavoratori”, evidenzia Garelli. La crisi di numeri sembra inesorabile.

Viri probati e comunità pastorali

È in gioco il futuro delle parrocchie senza preti. Molti sacerdoti devono guidare due o tre parrocchie. “Già da diversi anni le diocesi si sono attrezzate: c’è chi ha favorito l’arrivo di seminaristi da altre nazioni, in particolare da Africa, America Latina e Asia – documenta la Stampa -. E c’è chi ha sperimentato le unità pastorali (strategia per esempio del cardiale Carlo Maria Martini a Milano), mettendo insieme alcune parrocchie e ponendole sotto la responsabilità di un unico parroco”. Le unità pastorali sono state anche trasformate in comunità pastorali: la parrocchia resta, con un prete che vi risiede, ma è inserita in una comunità che raggruppa diverse parrocchie sotto un responsabile. “In questi giorni in Vaticano, al Sinodo per l’Amazzonia, si discute la possibilità di ordinare in zone remote dei “viri probati”, uomini anziani e sposati di “provata fede” per rimediare alla carenza del clero – sottolinea il vaticanista Domenico Agasso jr. -. C’è chi parla di sacerdozio femminile, e chi invoca maggiore spazio e responsabilità ai laici”.

Avamposti di fede

Ma parrocchie e oratori continuano a essere luoghi di presenza pubblica di rilievo. Intanto, più del 20% della popolazione dichiara di andarci con una certa regolarità, e sono molti di più i praticanti discontinui o irregolari. “La maggioranza continua a rivolgersi alla Chiesa locale per i “riti di passaggio” (dal battesimo al funerale)- precisa la Stampa-.Inoltre, la socializzazione dei giovani negli ambienti ecclesiali è ancora una prassi diffusa, coinvolge una quota rilevante di bambini e adolescenti. Oltre che per il catechismo e la preparazione ai sacramenti, anche per momenti di svago e sport, o per impegni associativi”. Il 60% degli attuali 18-29enni italiani ha frequentato i cortili dell’oratorio. Pur in un contesto in cui è sempre più diffusa “l’idea che la parrocchia sia una formula datata”, il 25% della popolazione parla di tanto in tanto con una figura religiosa di questioni personali. Resta il dato numerico inequivocabile che ci sono sempre meno sacerdoti e meno parroci all’ombra dei campanili. “Hanno le agende sempre più piene- puntualizza Agasso- Sono percepiti distanti, difficilmente raggiungibili dalla gente. In tre decenni il corpo sacerdotale si è ridotto del 16%. Ed è sempre più anziano”.

 

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