Il senso di Francesco per il Natale

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Il Natale è un periodo di raccoglimento e di riflessione per l'intera cristianità, pontefici inclusi.In particolare papa Francesco ha dedicato alla nascita di Gesù alcune delle sue catechesi più profonde e luminiose. “Gesù è venuto ad abitare in mezzo a noi, in mezzo ai nostri limiti e ai nostri peccati, per donarci l’amore della Santissima Trinità– medita Jorge Mario Bergoglio- .E come uomo ci ha mostrato la via dell’amore, cioè il servizio, fatto con umiltà, fino a dare la vita. Guardando il Bambino nel presepe, Bambino di pace, pensiamo ai bambini che sono le vittime più fragili delle guerre, ma pensiamo anche agli anziani, alle donne maltrattate, ai malati. Le guerre spezzano e feriscono tante vite!”.  E ancora: “Il mistero del Natale, che è luce e gioia, interpella e scuote, perché è nello stesso tempo un mistero di speranza e di tristezza. Porta con sé un sapore di tristezza, in quanto l’amore non è accolto, la vita viene scartata. Ma il Natale ha soprattutto un sapore di speranza perché, nonostante le nostre tenebre, la luce di Dio risplende”, perciò “il Natale è sempre nuovo, perché ci invita a rinascere nella fede, ad aprirci alla speranza, a riaccendere la carità“.

Dove nasce il pontificato della misericordia

Il modo schietto ed efficace con cui Francesco parla del Natale rimanda alle radici stesse del pontificato della misericordia. Analizzare come a Natale il Pontefice predica la Buona Novella aiuta ad addentrarsi nella sua predicazione. Gli apologisti e i Padri come Girolamo, Agostino, Ambrogio si sono serviti degli strumenti dell’oratoria greca e latina per presentare la dottrina della Chiesa e renderla più accettabile e comprensibile a uditori e lettori, come osserva l’arcivescovo Vincenzo Bertolone, presidente della Conferenza episcopale calabra. Tommaso d’Aquino è ricorso alla filosofia greca per la medesima finalità. La Chiesa è stata sempre molto avveduta nel discernere ed accogliere gli strumenti più opportuni, secondo la regola aurea “est modus in rebus”, per annunciare la Buona Novella. Anche oggi è necessario proseguire su questa linea. Quindi il futuro dell’evangelizzazione e della mistica cattolica consisterà sempre di più nel fare rete con le emittenti radiotelevisive del territorio, con una presenza sui social network e internet. “Le sfide saranno molte, ma si dovrà soprattutto puntare alla qualità, alla formazione e all’innovazione per attirare e coinvolgere i giovani e non solo loro”, puntualizza l’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace. “Dovranno essere soprattutto i sacerdoti delle nuove generazioni che dovranno imparare anche sui banchi di scuola come gestire la catechesi e la mistica della Chiesa sui social network. Ma anche i preti maturi possono e devono impegnarsi in questo che è il linguaggio del nostro tempo”. Inoltre, il “cartaceo” serve ancora, ma è destinato a integrarsi col digitale; i giovani leggono sempre meno e, per non tagliarli fuori, la Chiesa deve trovare delle forme per andare loro incontro. Sacerdoti e presuli devono parlare dei loro mondi vitali e con il loro linguaggio: musica, sport, affettività, moda, scuola. Ma lo sviluppo dei social e di ogni altra forma comunicativa odierna non è un fatto meramente tecnico. La sfida per tutti, e soprattutto per i pastori, non è solo imparare ad usare questi strumenti ma farne un’occasione di incontro col mondo presente. Più profondamente, secondo Bertolone, i nuovi mezzi di comunicazione sono mezzi e modalità in cui abitare, in cui semplicemente stare, il che significa che ad un approccio che rischia il moralismo (verificare se sono buoni o cattivi e vanno usati o meno) è da preferirsi un approccio esistenziale: essi esprimono una mentalità, un modo di pensare, un codice interiore delle persone, uno stile. E ciò perché è possibile usare benissimo gli strumenti, ma allo stesso tempo avere una mentalità vecchia e un linguaggio incapace di comunicare.

Evangelizzazione a tutto campo

Francesco invita, solo per citare uno degli ambiti comunicativi, a preparare omelie brevi, efficaci, che parlano le parole della vita e del popolo. I sacerdoti devono essere capaci di esprimere la ricchezza di un Vangelo domenicale anche nei 140 caratteri di un tweet, perché questo è lo stile e il mondo dell’uomo odierno. Francesco esorta a cambiare il modo di comunicare, a dare parole di speranza, ad essere attenti ai poveri e a chi non ha voce e a curare sempre la formazione, “leggendo” i problemi della gente con la prospettiva antropologica cristiana tramite la presenza capillare nelle reti sociali. La lezione del Vaticano II è particolarmente evidente nella predicazione di Francesco. I segni del Concilio nel magistero di papa Bergoglio sono profondi, di varia natura e molteplici. Tra esse, potremmo sottolineare che, grazie al Concilio, Francesco c’invita a riscoprire nei Vangeli la sorgente della fede, la fonte della spiritualità, la fontana della predicazione. Grazie a questo si scopre una spiritualità diversa che cambia l’orientamento dell’individuo e delle collettività umane. Non si può più tornare indietro. Chi torna indietro sbaglia. È questa, la lezione principale di Francesco, espressa in occasione dei cinquant’anni del nuovo Rito della messa in italiano.  Il Pontefice definisce il Concilio, un aggiornamento, una rilettura del Vangelo nella prospettiva della cultura contemporanea. Come, dunque, andare avanti?, si chiede Bergoglio. Insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera, quella in cui il Vangelo incontra le necessità della gente a cui va annunciato in maniera comprensibile e significativa. La lettera è stata inviata in occasione dei 100 anni della Pontificia università cattolica argentina.

Sulla strada del Concilio

Spesso papa Bergoglio sottolinea la necessità di proseguire sulla strada del Vaticano II e di non tornare indietro, rivolgendo questo invito a chi, nella Chiesa, ha sempre guardato con diffidenza alle novità introdotte all’epoca. Anche le raperture emerse al Sinodo straordinario sulla famiglia, sui divorziati risposati e lo sforzo per sostenere il dialogo ecumenico tra le diverse confessioni cristiane, sono nel solco del Concilio che ha cambiato il volto della Chiesa contemporanea. Francesco ha colto l’occasione per un appello ai teologi. E cioè: “Non accontentatevi di una teologia da tavolino. Il vostro luogo di riflessione siano le frontiere. E non cadete nella tentazione di verniciarle, di profumarle, di aggiustarle un po’ e di addomesticarle. Anche i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e, con la loro riflessione, versano olio e vino sulle ferite degli uomini”. Per il papa, infatti, anche la teologia deve essere «espressione di una Chiesa che è “ospedale da campo”, che vive la sua missione di salvezza e guarigione nel mondo” e, perciò, incoraggia i teologi “a studiare come nelle varie discipline, la dogmatica e la morale, la spiritualità e il diritto, possano riflettersi nella centralità della misericordia. Senza la misericordia la nostra teologia, il nostro diritto, la nostra pastorale corrono il rischio di franare nella meschinità burocratica o nell’ideologia che, di natura sua, vuole addomesticare il mistero. Comprendere la teologia è comprendere Dio, che è Amore”. Per il Papa, chiarisce l'arcivescovo Bertolone, il teologo dev’essere una persona capace di costruire attorno a sé umanità, di trasmettere la divina verità cristiana in dimensione veramente umana e non un intellettuale senza talento, un eticista senza bontà o un burocrate del sacro. “Gioia e letizia ci assicurano che il messaggio contenuto nel mistero di questa notte viene veramente da Dio- predica Francesco in occasione del  Natale- Non c’è posto per il dubbio; lasciamolo agli scettici che per interrogare solo la ragione non trovano mai la verità. Non c’è spazio per l’indifferenza, che domina nel cuore di chi non riesce a voler bene, perché ha paura di perdere qualcosa. Viene scacciata ogni tristezza, perché il bambino Gesù è il vero consolatore del cuore. Con Maria e Giuseppe stiamo davanti alla mangiatoia, a Gesù che nasce come pane per la mia vita. Contemplando il suo amore umile e infinito, diciamogli semplicemente grazie: grazie, perché hai fatto tutto questo per me”.

Giacomo Galeazzi: