Un infaticabile apostolo della carità. Un “folle di Dio” come San Francesco. Questo era don Oreste Benzi, sacerdote riminese che si è battuto affinché gli ultimi diventassero i primi. La lunga tonaca lisa e il rosario sempre in mano, ma con il viso illuminato da un grande sorriso capace di scaldare i cuori delle ragazze schiavizzate che ogni notte cercava di salvare dalla strada. Anche se visibilmente stanco e affaticato, sia per i molteplici impegni che per il peso dell'età, non ha mai rinunciato a incontrare quei poveri dimenticati da tutti.
Don Oreste nasce il 7 settembre 1925 a San Clemente, in provincia di Rimini. A soli sette anni decide di diventare sacerdote e nel 1937 entra nel seminario di Rimini. Viene ordinato il 29 giugno 1949. Nel 1968, l'apertura di un istituto per disabili a Rimini lo colpisce profondamente e decide di attivarsi per consentire loro di poter andare in vacanza come tutti. Lo stesso anno, con un gruppetto di giovani e alcuni sacerdoti, dà vita al primo nucleo di quella che, nel 1971, viene denominata Associazione per la formazione religiosa degli adolescenti Papa Giovanni XXIII, che poi diventerà Comunità Papa Giovanni XXIII. Dal 1969 al 2000 è parroco nella chiesa La Resurrezione, nel quartiere riminese di Grotta Rossa. Muore a Rimini il 2 novembre 2007 e dal 8 aprile 2014 è in corso la sua causa di beatificazione.
In Terris, in occasione dell'undicesimo anniversario della sua scomparsa, ha intervistato Elisabetta Casadei, la postulatrice della causa di beatificazione di don Oreste.
Quando ha conosciuto don Oreste?
“L'ho conosciuto quando ero adolescente perché frequentavo la parrocchia di don Migani Romano, uno dei primi quattro preti che hanno fondato insieme a lui la parrocchia della Resurrezione, a Rimini”.
Perché per la Chiesa potrebbe essere importante riconoscere don Oreste santo?
“Perché lui è riuscito a vedere ciò che ancora noi non riusciamo a vedere. Parlo della società del gratuito e della famiglia per esempio. Ha intravisto delle potenzialità nella famiglia che noi adesso stiamo smarrendo, e che diventano piano piano sempre più sconosciute. Ogni essere umano è irripetibile, amato per quello che è. Questa coscienza un essere umano la può percepire solo in famiglia perché è accettato per quello che è e non per ciò che fa o per quello che possiede. Lui riusciva a tirar fuori dalle persone che noi considereremmo perse, fallite, delle potenzialità enormi, cioè lui riusciva a vedere del grano fra tutta la pula. Una nota canzone di De André dice che 'dai diamanti non nasce niente, dal letame crescono i fiori', ecco lui riusciva a vedere la bellezza dovunque”.
A che punto è adesso la causa di beatificazione?
“E' ancora nella fase diocesana. Una causa di beatificazione si compone essenzialmente di due fasi: la prima diocesana in cui si raccolgono tutte le prove di santità, che poi vengono consegnate alla Congregazione delle cause dei beati e dei santi, dove ci sarà il giudizio di periti teologici, storici che diranno se don Oreste ha vissuto veramente la vita cristiana in modo alto, in modo eroico. Non nel senso che fosse un superuomo ma perché l'amore e la grazia di Dio hanno potuto riverberarsi in lui, nella sua intelligenza, nella sua volontà, libertà, nei suoi affetti, nel suo agire al di sopra del comune”.
Ci sono stati miracoli avvenuti per sua intercessione?
“Ci sono tante segnalazioni di grazie ricevute, non parliamo di miracolo. Ci sono persone che hanno ritrovato la fede, la speranza, coraggio. Per quanto riguarda i miracoli ci sono eventi un po' più importanti, anche dal punto di vista fisico, alcune segnalazioni di parti difficili che poi hanno avuto avuto un buon esito. Tutti casi che sono stati sottoposti a dei medici che poi hanno detto che si tratta di eventi spiegabili dalla scienza, quindi non si può parlare di un fatto inspiegabile. Ecco, stiamo ancora attendendo una segnalazione di un evento chiamiamolo prodigioso”.
Per don Oreste era quasi impensabile salire in macchina o fare un lungo viaggio accompagnato solo da una donna. Ora invece, è proprio una donna che lo sta accompagnando in questo viaggio verso gli onori degli altari…
“Questi sono gli scherzi di Dio! Ma penso che don Oreste non si offenda, perché lui amava tanto le donne, aveva una venerazione straordinaria verso di loro, in primis la sua mamma. Non partiva mai per un viaggio senza averle prima chiesto la sua benedizione, si inginocchiava di fronte a lei e le chiedeva di mettergli una mano sopra la testa. Poi andava in chiesa e faceva la stessa cosa con Maria. E poi aveva una venerazione straordinaria nei confronti delle consacrate della Comunità Papa Giovanni che seguiva, almeno inizialmente, una per una. Le donne sono sempre state un punto fisso per don Oreste, per non parlare poi delle ragazze salvate dalla strada. Tra l'altro, lui è anche maturato, è stato formato in un ambiente che era molto rigido, molto puritano, ma poi andando avanti, anche con l'età è diventato più elastico, più flessibile anche se non lo dava a vedere. Era capace di gesti di tenerezza che non negava a nessuno. Io penso che molte donne possano dire di essere state consolate, abbracciate da lui in particolari momenti della loro vita. Gesti sempre riservati che sono importanti. Penso che il Signore gli abbia dato questa gioia, certo non per merito mio”.
“Siate Santi” è un'esortazione che don Oreste utilizzava molto spesso, anche quando parlava con i membri dell'associazione da lui fondata. Che significato pensa che attribuisse a queste parole?
“Credo che don Oreste concepisse la santità come un'immersione nella vita, nella libertà e nell'amore di Gesù, questo appartenere totalmente a lui ed esserne quasi inebriati. Lui parlava di mondi vitali, questi mondi nuovi che sorgono laddove l'amore e la logica di Dio possono penetrare. Quindi le case famiglia, le cooperative, le comunità degli zingari, i caschi bianchi. Realtà dove si può sentire il profumo del Vangelo. Ecco la santità per don Oreste era questo: immergersi nella vita di Dio, quindi lasciare tutte le sicurezze perché il Signore potesse condurre la vita di ognuno. E' bella quell'immagine che lui utilizzava sempre ricordando il papà che lo portava via con lui quando andava in bicicletta, lo faceva salire dietro e lui gli chiedeva: 'dove andiamo?', ma il padre non rispondeva. E allora don Oreste spiegava di essere contento lo stesso perché era sulla bicicletta del suo babbo. Avere questa fiducia immensa nella bontà di Dio, anche quando vediamo che i fatti non vanno secondo la logica, secondo ciò che ci aspettiamo, secondo il bene. E poi la piccolezza, l'essere piccoli, bambini, è un altro elemento della santità che lui ha vissuto. Aveva questo sorriso 'pacioccone' che ti disarmava, con quel sorriso lì lui entrava in tutte le porte perché non aveva niente da difendere, era limpido. Diceva: 'è una gran fatica stare con i santi perché sono perfetti, io preferisco stare con i peccatori perché sono peccatore'”.
Qual era il segreto di don Oreste?
“L'Eucarestia, la preghiera e il rosario. Questi elementi erano l'anima del suo cuore. Nell'Eucarestia don Oreste impiantava questo incontro vitale, mistico con il Signore. L'altro suo segreto era la preghiera continua. Aveva sviluppato un rapporto, un dialogo con il Signore costante. Noi magari eravamo più abituati a vederlo parlare con due cellulari contemporaneamente o sempre accerchiato dalle persone. Però lui in tutti questi frangenti non perdeva il contatto con Dio. Parlava con le persone e allo stesso tempo dialogava con il Signore e appena poteva scappava in qualche cappella. Ricordiamo che ogni volta che visitava una casa-famiglia, la prima cosa che faceva era andare a fare una preghiera nella cappellina. Prima di andare a dormire lui andava sempre in Chiesa, altre volte si alzava molto presto per mettersi in adorazione davanti al Tabernacolo. E poi c'è il rosario. Lui ha spento tanti fuochi e salvato tante persone con il rosario. Lui amava sinceramente la Madonna, la sentiva veramente come una madre, quindi il rosario non come devozione, ma come rapporto filiale, come un bambino che sta attaccato al seno della mamma: sta lì, con gli occhi e ciuccia, ecco potremmo dire che il rosario era il ciuccio di don Oreste”.