“Nella Sacra Scrittura, tra i profeti di Israele, spicca una figura un po’ anomala, un profeta che tenta di sottrarsi alla chiamata del Signore rifiutando di mettersi al servizio del piano divino di salvezza. Si tratta del profeta Giona”. Con queste parole, il Santo Padre Francesco ha aperto l’Udienza generale tenuta all’interno dell’Aula Paolo VI, incentrata sul tema portante del legame fra speranza e preghiera: “Giona è un profeta ‘in uscita e anche in fuga’”, ha spiegato il Papa narrando l’episodio biblico. “Egli era stato inviato in periferia, a Ninive, per convertire gli abitanti di quella grande città. Ma Ninive, per un israelita come Giona, rappresentava una realtà minacciosa, il nemico che metteva in pericolo la stessa Gerusalemme, e dunque da distruggere, non certo da salvare. Perciò, quando Dio manda Giona a predicare in quella città, il profeta, che conosce la bontà del Signore e il suo desiderio di perdonare, cerca di sottrarsi al suo compito e fugge”.
Tuttavia, sarà proprio nel suo allontanamento che il profeta scoprirà come, davanti al pericolo della morte, la speranza di salvezza possa esprimersi con la preghiera: “Durante la sua fuga, il profeta entra in contatto con dei pagani, i marinai della nave su cui si era imbarcato per allontanarsi da Dio e dalla sua missione… Durante la traversata in mare, scoppia una tremenda tempesta, e Giona scende nella stiva della nave e si abbandona al sonno. I marinai invece, vedendosi perduti, ‘invocarono ciascuno il proprio dio’: erano pagani (Gn 1,5)”. Ed è in questo momento che il profeta, dormiente, è chiamato dal capitano a pregare il suo Dio, con l’augurio che tali invocazioni potessero in qualche modo salvare l’imbarcazione dal suo destino: “La reazione di questi ‘pagani’ – ha commentato il Papa – è quella giusta davanti alla morte, davanti al pericolo; perché è allora che l’uomo fa completa esperienza della propria fragilità e del proprio bisogno di salvezza. L’istintivo orrore del morire svela la necessità di sperare nel Dio della vita. ‘Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo’: sono le parole della speranza che diventa preghiera, quella supplica colma di angoscia che sale alle labbra dell’uomo davanti a un imminente pericolo di morte”.
“Troppo facilmente – ha continuato il Pontefice – noi disdegniamo il rivolgerci a Dio nel bisogno come se fosse solo una preghiera interessata, e perciò imperfetta. Ma Dio conosce la nostra debolezza, sa che ci ricordiamo di Lui per chiedere aiuto, e con il sorriso indulgente di un padre, Dio risponde benevolmente”. Per questo, una volta appurate le proprie responsabilità, Giona si fa gettare in mare, consapevole che questo gesto avrebbe portato alla salvezza i suoi compagni di sventura: l’incombenza della morte, aveva indotto i pagani alla preghiera e “ha fatto sì che il profeta, nonostante tutto, vivesse la propria vocazione al servizio degli altri accettando di sacrificarsi per loro, e ora conduce i sopravvissuti al riconoscimento del vero Signore e alla lode”.
Allo stesso modo, dinnanzi alla paura della propria distruzione, anche gli abitanti di Ninive “pregheranno, spinti dalla speranza del perdono di Dio… Anche per loro, come per l’equipaggio nella tempesta, aver affrontato la morte ed esserne usciti salvi li ha portati alla verità. Così, sotto la misericordia divina, e ancor più alla luce del mistero pasquale, la morte può diventare, come è stato per san Francesco d’Assisi, ‘nostra sorella morte’ e rappresentare, per ogni uomo e per ciascuno di noi, la sorprendente occasione di conoscere la speranza e di incontrare il Signore”.
Il Papa ha concluso l’udienza augurandosi che il Signore, nella sua grazia, “ci faccia capire questo legame fra preghiera e speranza. La preghiera ti porta avanti nella speranza e, quando le cose diventano buie, occorre più preghiera! E ci sarà più speranza”.
Foto: Sir