Scoccò immediata l’intesa tra il Papa arrivato “quasi dalla fine del mondo” e i mass media. Mentre gli occhi del mondo erano puntati sul Vaticano per l’elezione pontificia appena avvenuta, Jorge Mario Bergoglio arrivò a piedi all’udienza nell’Aula Paolo VI con i giornalisti e iniziò un dialogo franco e informale che non si è mai interrotto, superando protocolli tradizionali e rigidità curiali. Il Papa riceve in udienza l'Unione Stampa Cattolica italiana. “Condivisione, ascolto, comprensione, solidarietà ed accoglienza. Sono questi i valori cristiani ricompresi nell’opera che la delegazione dell’Ucsi Molise porterà in dono a Papa Francesco”, spiega l'Ucsi Molise. “Un dono mirabile quello del Pontefice, concesso in occasione della ricorrenza del 60° anniversario dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana”, si legge nella nota. La scultura, che porta la firma dell’artista termolese Cleofino Casolino, è stata realizzata dall’Associazione Onlus “Iktus” che, tra le diverse attività, opera per il reinserimento dei detenuti. Il dono per il Papa è stato realizzato nel laboratorio artigianale e vero e proprio spazio creativo per i detenuti del carcere di Larino. L’incontro con l’Ucsi è anche un’occasione per leggere Francesco attraverso la lente mediatica.
L’approccio innovativo al mondo dell’informazione
Dal giorno successivo all’elezione di Jorge Mario Bergoglio al soglio di Pietro, i mass media di tutto il mondo si cimentano invano in un esercizio ricorrente in ogni pontificato. Cercare negli interventi del papa il “discorso programmatico” dal quale estrarre le linee-guida della sua missione evangelizzatrice. Impresa quanto mai ardua con un pontefice che alle già frequenti occasioni di pubblica predicazione ha aggiunto un momento totalmente inedito e del tutto assente in passato: l’omelia a braccio alla messa del mattino che Francesco celebra nella Casa Santa Marta dove risiede in Vaticano. Prima di lui, infatti, la funzione mattutina era un’occasione strettamente privata, confinata entro le mura dell’appartamento papale al Palazzo Apostolico. Inutile inseguire il progetto del pontificato di Francesco nei suoi discorsi o nelle sue omelie: è tutto stato scritto mezzo secolo fa, a giudizio di un fine teologo e profondo conoscitore della storia ecclesiastica come l’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi. Una provocazione che apre uno scorcio sul senso reale della rivoluzione di papa Bergoglio. Il programma di Francesco è il Concilio. Pochi giorni dopo la sua elezione, il 16 marzo 2013, Francesco riproponeva, parlando ai rappresentanti dei mass media, il tema di una Chiesa vicina alle fasce sociali più emarginate, ai diseredati, agli indigenti, a chi subisce soprusi e ingiustizie.
La comunicazione ecclesiastica
La Chiesa ha sempre annunciato il Vangelo, attraverso i canali attivi in un preciso momento storico. Rintracciare tweet e post nella storia dell’ evangelizzazione non è semplice. Se non altro perché sono forme di linguaggio inedite, almeno sino a poco tempo fa. A guardar bene, secondo don Gaetano Saracino, forme di linguaggio innovativo non sono del tutto estranee all’annuncio del Vangelo. Non saranno tweet, posto o blog, ma il segno della croce o il suono delle campane sono ovviamente ben più di un flash mob e di un trill, ne precorrono la forma, richiamano al mistero e durano ancora. Gesù stesso ha dato prova di saperci fare con la comunicazione: da Nazaret scese a Cafarnao a predicare. Dunque da un luogo isolato ed arroccato ad un porto di lago, il mare di Galilea, per altro attraversato dalla via dell’impero, il cardo maximus, che portava a Damasco, sede di una dogana e in rapporti commerciali con l’alta Galilea, la Siria, la Fenicia, l’Asia Minore, Cipro e l’Africa. E lo stesso Figlio di Dio accompagna i fedeli dall’Annunciazione all’Annuncio. D’altronde: “Il Verbo si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi”(Gv 1,14). Don Saracino richiama il linguaggio attuale dei social: nella storia recente quando Benedetto XVI inaugurava dallo schermo di un iPad la sua presenza su Twitter, aprendo otto account in altrettante lingue, cui si è aggiunta poco dopo quella in latino.
Le radici della Chiesa in uscita
I mass media fanno spesso riferimento al gesto di Pio XI, che nel 1931 dai microfoni di Radio Vaticana lanciava il suo primo messaggio radiofonico e, ancor prima, la benedizione impressa da Leone XIII nel 1896 sulla pellicola dei fratelli Lumière. La pellicola del cinema e il microfono di una radio da una parte e un iPad aperto su un social dall’altra, costituiscono forme differenti di comunicazione corrispondenti a quasi due epoche ma, come la radio ha rappresentato la trasmissione dell’informazione ad ampio raggio, così Twitter rappresenta la conoscenza connettiva e condivisa, rispondendo al modo attivo di comunicare odierno. Per don Saracino una Chiesa che sa sorprendere esiste: non solo lezioni a colpi di liturgie ma anche comunicazione mass mediatica e pratiche on line per comunicare. Il cuore è sempre la Buona Notizia, il Vangelo. L’Annuncio corre, è presente, ma proprio per la sua natura viva e vivificante non può rimanere lettera, deve diventare prossimità, incontro, dialogo. A giudizio di don Saracino, in una tag cloud, quella specie di nuvola grafica dove la grandezza delle parole scritte è proporzionale alla loro ricorrenza, sarebbero queste le parole chiave del pontificato di Francesco: prossimità, incontro, dialogo. Al centro della comunicazione le persone che comunicano sono in forte relazione fra di loro. E allora mentre l’attenzione social, fortemente favorita dall’ innovazione tecnologica, si è ormai spostata dal mezzo al messaggio, tanti, troppi e spesso, in Papa Francesco resta marcata l’esigenza di stabilire una relazione sempre, in qualsiasi contesto comunicativo perché il messaggio si affermi con autenticità ed efficacia. Non sarà strettamente social, ma per don Saracino è innovativa e ben visibile in Francesco la capacità di fare una sorta di magistero per aria. Il riferimento è all’incontro in aereo con i giornalisti, nei suoi viaggi intercontinentali, trasformatisi in un vero e proprio esercizio del magistero, dalle dichiarazioni impegnative e piuttosto esplicite; ma anche ai continui richiami ai suoi ministri, nel rivedere le lunghe omelie e i limiti della comunicazione ecclesiastica nel suo insieme: se il Figlio di Dio, Parola del Dio vivente, si è fatto carne non può che essere venuto a cercare e a salvare (coinvolgere) ciò che era perduto! (Lc 19,10). Questa è la mossa dell’evangelizzazione: la salvezza portata da Gesù nella misericordia del Padre. Non è una notizia creata ad arte o adattata ad un mezzo per essere veicolata. Per questo non resterà mai nascosta perché è un fatto realmente accaduto e coinvolge l’uomo, ogni uomo. In ogni epoca, con ogni mezzo. Francesco ne dà prova anche durante i viaggi conversando a tutto campo con i cronisti che lo seguono nei suoi spostamenti all’estero.
Senza filtri
Quella dell’incontro con i giornalisti, per la verità, non è una forma inedita. L’ha introdotta san Giovanni Paolo II, l’ha proseguita Benedetto XVI, ma in Francesco si è affermato uno stile di comunicazione nuovo: più immagini, frasi ad effetto che danno origine anche a reazioni emotive, e con meno concetti. Anche lì la scuola di trasparenza e linguaggio diretto è il Vaticano II. Nell’aprile 2013, infatti, ricordando il Concilio, papa Bergoglio affermava che il Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Ed evidenziava la figura di Giovanni XXIII: sembrava un parroco buono ed è stato obbediente allo Spirito Santo. Un debito di riconoscenza già affidato anche da Giovanni Paolo II nel celebre messaggio Urbi et Orbi del 22 ottobre 1978, in cui chiese ai fedeli di mettersi in sintonia col Concilio per attuare praticamente quel che esso ha enunciato. Parimenti per Francesco, la Chiesa è lumen, luce, perché sul suo volto si riflette la luce di Cristo, che è Lumen Gentium. Questa luce però può essere intesa in almeno due modi che non si escludono, ma che sono differenti. Innanzitutto come “faro”, la cui caratteristica è quella di dare luce, ma di essere fermo, poggiato su solido fondamento. Ma può essere intesa anche come “fiaccola”. Qual è la differenza tra faro e fiaccola? Il faro sta fermo, è visibile, ma non si muove. La fiaccola, invece, fa luce camminando là dove sono gli uomini, illumina quella porzione di umanità nella quale si trova, le loro speranze, ma anche le loro tristezze e angosce. La fiaccola è chiamata ad accompagnare gli uomini nel loro cammino, accompagnandoli dal di dentro dell’esperienza del popolo, illuminandoli metro per metro, non accecandoli con una luce insostenibile. L’eco giovannea è fortissima. “La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati”, aveva messo nero su bianco papa Roncalli nella Gaudet Mater Ecclesia l’11 ottobre 1962. Una sintesi di questi contributi, in chiave pastorale e di prossimità del pastore al gregge, è stata offerta al sinodo nella relazione finale.
La fiaccola
La Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Inoltre, la Chiesa parte dalle situazioni concrete delle famiglie di oggi, tutte bisognose di misericordia, cominciando da quelle più sofferenti. Con il cuore misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto o di una fiaccola portata in mezzo alla gente per illuminare coloro che hanno smarrito la rotta o si trovano in mezzo alla tempesta. Secondo don Saracino, è la lezione del Concilio. Sul piano della comunicazione la “nuova evangelizzazione” non conosce limiti perché può essere allo stesso tempo verbale e interpersonale, social e digitale, mass mediale e audiovisiva oppure multimediale. Nel segno del Concilio l’evangelizzazione di Francesco possiede un cuore antico ma costantemente nuovo perché frutto non di una rigenerazione già definita e avvenuta una sola volta, ma piuttosto di chi ha imparato a vivere secondo una perenne (e agostiniana) “inquietudine rigeneratrice”. Spesso i mass media ricorrono a slogan o semplificazioni nel tentativo di sintetizzare l’idea di Chiesa che Francesco ha in mente. Ma per comprendere realmente la novità rappresentata dal pontificato di Jorge Mario Bergoglio è più utile delinearne il contesto ecclesiale e individuare il quadro di riferimento su cui si fonda. Non si può capire l’azione di Francesco senza far riferimento al Concilio e a quanto è avvenuto nella Chiesa su impulso del Vaticano II negli ultimi decenni.