Un caso più volte definito “doloroso”, da Papa Francesco, quello della diocesi di Ahiara, in Nigeria. Una situazione delicata, nata e accresciutasi sulle fondamenta di una divisione etnica che ha consentito il verificarsi di un quadro piuttosto spiacevole, con la mancata accettazione della nomina episcopale del vescovo, mons. Peter Ebere Okpaleke, di etnia Ibo (maggiormente diffusa nella vicina regione di Ambra). Un’appartenenza evidentemente non apprezzata da parte di preti e laici diocesani poiché, il predecessore di mons. Okpaleke, risultava appartenente all’etnia Mbaise, predominante nell’area di Ahiara. Un inconveniente sul quale il Santo Padre ha ritenuto opportuno intervenire in modo alquanto deciso, convocando i rappresentanti della diocesi lo scorso 8 giugno in Vaticano. Un incontro avvenuto in corrispondenza di quello tenuto con i vescovi di Venezuela eppure altrettanto importante, come dimostrato dalle stesse parole usate dal Pontefice nei confronti della delegazione, in un incontro comunque avvenuto sulle basi “del dialogo e dell’ascolto”.
“Chi si è opposto al Vescovo vuole distruggere la Chiesa”
Papa Francesco ha affermato di sentirsi triste per quanto accaduto nella diocesi nigeriana e che la Chiesa “è come in stato di vedovanza per aver impedito al Vescovo di andarvi”. E, citando la parabola evangelica dei vignaioli assassini (Mt 33), il Santo Padre ha affermato che “la Diocesi di Ahiara è come senza sposo, ed ha perso la sua fecondità e non può dare frutto”. Ma, ancora più chiaramente, ha spiegato che “chi si è opposto alla presa di possesso del Vescovo mons. Okpaleke vuole distruggere la Chiesa; ciò non è permesso; forse non se ne accorge, ma la Chiesa sta soffrendo e il Popolo di Dio in essa. Il Papa non può essere indifferente”. Parole decise, dopo le quali il Pontefice ha chiarito di conoscere molto bene le vicende della diocesi di Ahiara, ringraziando il Vescovo per “la sua santa pazienza” e affermando di aver “riflettuto molto, anche sull’idea di sopprimere la Diocesi; ma poi ho pensato che la Chiesa è madre e non può lasciare tanti figli come voi. Ho un grande dolore verso questi sacerdoti che sono manipolati, forse anche dall’estero e da fuori Diocesi”.
“Scrivete e chiedete perdono”
Il Santo Padre ha detto alla delegazione di non ritenere quanto accaduto un caso di tribalismo ma “di appropriazione della vigna del Signore. La Chiesa è madre e chi la offende compie un peccato mortale, è grave. Perciò ho deciso di non sopprimere la Diocesi”. Un discorso duro ma anche una decisione importante, alla quale Papa Francesco ha affiancato alcune indicazioni: “Va detto che il Papa è profondamente addolorato, pertanto chiedo che ogni sacerdote o ecclesiastico incardinato nella Diocesi di Ahiara, sia residente, sia che lavori altrove, anche all’estero, scriva una lettera a me indirizzata in cui domanda perdono; tutti, devono scrivere singolarmente e personalmente; tutti dobbiamo avere questo comune dolore”. Come specificato, nella lettera “si deve chiaramente manifestare totale obbedienza al Papa e chi scrive deve essere disposto ad accettare il Vescovo che il Papa invia e il Vescovo nominato. La lettera deve essere spedita entro 30 giorni a partire da oggi fino al 9 luglio p.v. Chi non lo farà ipso facto viene sospeso a divinis e decade dal suo ufficio”.
Una linea guida dura e determinata della quale il Pontefice è perfettamente consapevole: “Ma perché il Papa fa questo? Perché il Popolo di Dio è scandalizzato. Gesù ricorda che chi scandalizza deve portarne le conseguenze. Forse qualcuno è stato manovrato senza una piena cognizione della ferita inferta alla comunione ecclesiale”. Papa Francesco ha poi ringraziato la delegazione per essere venuta a San Pietro “in spirito di pellegrinaggio”, porgendo i suoi ringraziamenti anche “al Cardinale Onaiyekan per la sua pazienza e al Vescovo Okpaleke, di cui ho ammirato oltre la pazienza anche l’umiltà”.