La visita di Papa Francesco a Palermo arriva in un momento difficile del suo pontificato. Scandali e accuse sembrano evocare l'immagine di una Chiesa macchiata dalla “sporcizia” – di cui parlò l’allora cardinal Ratzinger nella Via Crucis del 2005 – che fa provare “vergogna e pentimento” – come scritto da Papa Francesco nella sua “Lettera al popolo di Dio”. La rievocazione di don Pino Puglisi, allora, ha una funzione di riscatto, ricordando la funzione benefica svolta dai consacrati nella società. Una funzione che non può essere messa in discussione dalle malefatte di quelli che Papa Benedetto definì “traditori di Dio”. La visita palermitana del Pontefice per l’anniversario dei 25 anni dall’uccisione di don Puglisi rappresenta, dunque, una boccata d’ossigeno per la Chiesa, l’occasione per ricordare che il ruolo del sacerdote, in virtù della sua speciale unione con Cristo, implica la vocazione al martirio.
Chi era don Puglisi
La storia del Beato palermitano, arrivata a conquistare i cuori dei fedeli di tutto il mondo, si apre e si chiude nei vicoli del difficile quartiere Brancaccio: qui nasce – figlio di un calzolaio e di una sarta -, scopre la vocazione, concentra la sua attività che si concretizza con l’apertura del centro “Padre Nostro” e muore, assassinato con un colpo alla nuca nel giorno del suo compleanno. Prete di strada, come viene generalmente definito, ma prima di tutto uomo di fede: è il Vangelo la fonte e lo strumento della lezione di legalità che don Puglisi impartisce ai ragazzi con la sua testimonianza. La sua missione consiste nello strappare i giovani della borgata palermitana dalle grinfie del potente clan Graviano, semplicemente facendoli innamorare di Cristo. E per farlo, come dice lui stesso, si mostra a loro già “carico di questo innamoramento”. La sua figura, di ragazzo di Brancaccio che si trova parroco del suo stesso quartiere, corrisponde in pieno all’identikit del “buon pastore con l’odore delle pecore” spesso auspicata da Papa Francesco come modello ideale per i sacerdoti.
Prete di strada
La forza della missione di don Puglisi, causa del suo martirio ma anche motivo della sua “immortalità”, sta nell’aver proposto a quei ragazzi una strada alternativa, segnata dal Vangelo, rispetto a quella che ritenevano fino ad allora l’unica percorribile, segnata dal crimine. Per questo i mafiosi decidono di eliminarlo: li rende meno appetibili agli occhi dei loro potenziali nuovi soldati. Don Puglisi li sottrae alla mafia per ricondurli a Cristo e questo, quegli stessi boss che si mostravano tanto zelanti in occasione delle cerimonie religiose per i figli, non possono proprio tollerarlo. Don Puglisi è allergico ai discorsi vacui e agli attacchi generici, innatamente predisposto all’azione perché, come diceva lui, “quelli che riflettono troppo prima di fare un passo, trascorreranno tutta la vita su di un piede solo”. Un sacerdote a 360 gradi, perfettamente consapevole dell’importanza della liturgia come fondamento della sua straordinaria impostazione pastorale: “La spiritualità liturgica – scriveva il Servo di Dio – non guarda al cammino di una persona, ma al mistero di Cristo; la liturgia quindi non invita a riflettere, a meditare dei temi, ma ci spinge a vivere il mistero”.
La Chiesa contro la mafia
Papa Francesco renderà omaggio a don Puglisi recandosi a Brancaccio per visitare la sua parrocchia e la casa natale. Al Foro Italico, invece, il Santo Padre celebrerà la messa in memoria del Servo di Dio siciliano. La volontà del Papa di ricordare il sacrificio del primo martire di mafia non sorprende: in passato Bergoglio ha lodato pubblicamente la “luminosa testimonianza” di don Puglisi perché “educando i ragazzi secondo il Vangelo, li sottraeva alla malavita, e così questa ha cercato di sconfiggerlo, uccidendolo… In realtà, però, è lui che ha vinto, con Cristo Risorto”.
I precedenti
Il viaggio papale a Palermo arriva otto anni dopo quello compiuto da Benedetto XVI. Durante quell’occasione, Papa Ratzinger aveva citato espressamente don Puglisi come esempio di uomo che, “saldamente fondato sulla fede”, è stato “capace di portare la forza dirompente del Vangelo”. Le nette parole di condanna contro la criminalità organizzata, pronunciate da Ratzinger prima e da Bergoglio poi, vanno collocate nel solco di quello che rimane, probabilmente, il discorso più importante pronunciato da un Pontefice in terra siciliana; quel “convertitevi” gridato da San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio del 1993. Parole che avevano commosso don Puglisi, come racconta il suo viceparroco, al punto di condurlo alle lacrime. Pochi mesi dopo, l’uccisione davanti al portone della canonica scuote Papa Wojtyla: “Il sangue innocente di questo sacerdote porti pace alla cara Sicilia”, si augura il pontefice polacco, capendo in anticipo che il sacrificio del prete di Brancaccio non sarebbe stato inutile. Da quella morte, infatti, prende piede ulteriormente il risveglio delle coscienze nella Palermo traumatizzata dalla stagione stragista di Cosa Nostra ed il consenso sociale di quest’ultima comincia ad incrinarsi inesorabilmente: la gente mostra di non avere più paura, forte anche dell’appoggio pubblico di un’istituzione come la Chiesa. La visita di Papa Francesco nel nome di don Puglisi servirà, dunque, a celebrare l’impegno inequivocabile della Chiesa contro le prevaricazioni di tutte le mafie che l’esempio del prete di Brancaccio è riuscito a far conoscere al mondo intero prima con la sua attività nel quartiere e poi, ancor di più, con il suo sacrificio.