“L’unità dei cristiani è un’esigenza essenziale della nostra fede. Un’esigenza che sgorga dall’intimo del nostro essere credenti in Gesù Cristo”. Tuttavia l'”unità non è il frutto dei nostri sforzi umani”. Papa Francesco ha sottolineato questo imperativo nel ricevere i partecipanti alla plenaria del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani presieduto dal card. Koch: “Nel corso di quest’anno – ha ricordato – ho avuto l’opportunità di vivere tanti significativi incontri ecumenici, sia qui a Roma sia durante i viaggi. Ognuno di questi incontri è stato per me fonte di consolazione, perché ho potuto constatare che il desiderio di comunione è vivo e intenso. In quanto Vescovo di Roma e Successore di Pietro, consapevole della responsabilità affidatami dal Signore, desidero ribadire che l’unità dei cristiani è una delle mie principali preoccupazioni, e prego perché essa sia sempre più condivisa da ogni battezzato”.
Citando “la preghiera sacerdotale di Gesù” contenuta nel Vangelo di Giovanni, il Papa ha affermato che “non basta essere concordi nella comprensione del Vangelo, ma occorre che tutti noi credenti siamo uniti a Cristo e in Cristo. È la nostra conversione personale e comunitaria” che permette “di crescere nella comunione tra di noi”. Francesco ha quindi messo in guardia da “alcuni falsi modelli di comunione che in realtà non portano all’unità ma la contraddicono nella sua essenza”.
Secondo Francesco, l’unità non è “il prodotto costruito da diplomazie ecclesiastiche, ma è un dono che viene dall’alto”. Il compito degli uomini “è quello di accogliere questo dono e di renderlo visibile a tutti. Da questo punto di vista, l’unità, prima che traguardo, è cammino, con le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni, e anche le sue soste. L’unità come cammino richiede pazienti attese, tenacia, fatica e impegno; non annulla i conflitti e non cancella i contrasti, anzi, a volte può esporre al rischio di nuove incomprensioni. L’unità può essere accolta solo da chi decide di mettersi in cammino verso una meta che oggi potrebbe apparire piuttosto lontana. Tuttavia, colui che percorre questa strada è confortato dalla continua esperienza di una comunione gioiosamente intravista, anche se non ancora pienamente raggiunta, ogni volta che si mette da parte la presunzione e ci si riconosce tutti bisognosi dell’amore di Dio. E quale legame unisce tutti noi cristiani più dell’esperienza di essere peccatori ma allo stesso tempo oggetto della infinita misericordia di Dio a noi rivelata da Gesù Cristo? Per questo – ha aggiunto – amo ripetere che l’unità si fa camminando. Tutte le divergenze teologiche ed ecclesiologiche che ancora dividono i cristiani saranno superate soltanto lungo questa via, senza che noi oggi sappiamo come e quando, ma ciò avverrà secondo quello che lo Spirito Santo vorrà suggerire per il bene della Chiesa.
Il Papa ha poi ribadito che “l’unità non è uniformità. Le differenti tradizioni teologiche, liturgiche, spirituali e canoniche, che si sono sviluppate nel mondo cristiano, quando sono genuinamente radicate nella tradizione apostolica, sono una ricchezza e non una minaccia per l’unità della Chiesa”.
Infine, il S. Padre ha ricordato che “l’unità non è assorbimento. L’unità dei cristiani non comporta un ecumenismo “in retromarcia”, per cui qualcuno dovrebbe rinnegare la propria storia di fede; e neppure tollera il proselitismo, che anzi è un veleno per il cammino ecumenico”. E questa affermazione può essere anche una chiave per comprendere meglio il senso della recente dichiarazione congiunta di Lund con i luterani: “Prima di vedere ciò che ci separa, occorre percepire anche in modo esistenziale la ricchezza di ciò che ci accumuna, come la Sacra Scrittura e le grandi professioni di fede dei primi Concili ecumenici. L’ecumenismo – ha concluso il Papa – è vero quando si è capaci di spostare l’attenzione da sé stessi, dalle proprie argomentazioni e formulazioni, alla Parola di Dio che esige di essere ascoltata, accolta e testimoniata nel mondo. Per questo, le varie comunità cristiane sono chiamate non a “farsi concorrenza”, ma a collaborare”.