Non dobbiamo essere trionfalisti in queste cose, perché la pace ancora è fragile nel Paese e la si deve trattare con molta delicatezza, perdono, pazienza, per farla crescere e che sia robusta”. E' il monito che Papa Francesco lancia, parlando del Mozambico, nella sua conferenza sul volo di ritorno dall'arcipelago di Maurizio, ultima tappa del suo viaggio africano che lo ha portato anche in Madagascar. Un percorso intenso, fra la gioiosa cristianità di quell'angolo del Continente e la consapevolezza di un necessario investimento di forze e preghiera per la risoluzione di quelle problematiche che ancora affliggono i Paesi africani: “L’Africa è vita e ho notato lì un gesto che avevo trovato nelle Fillippine e a Cartagena: le persone che mi mostravano i bambini. Dicevano: questo è il mio tesoro. Voi avete la sfida di educare questi giovani. L’educazione in questo momento è prioritaria. E deve essere gratuita per tutti”.
Il morbo della xenofobia
Il Pontefice si dilunga nello spiegare “la malattia della xenofobia” in Africa. Un problema, secondo il Santo Padre, legato non solo a questo continente ma all'umanità intera: “Le xenofobie tante volte cavalcano sui cosiddetti populismi politici. Ho detto la settimana scorsa che delle volte sento in alcuni posti discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel ’34. Si vede che c’è un ritornello in Europa come in Africa, dove c'è anche il tribalismo. Lì ci vuole un lavoro di educazione, di avvicinamento fra le diverse tribù per fare una nazione”. Anche in questo senso si inserisce il tema dell'incontro interreligioso: “Non si cancella la differenza delle religioni, ma si sottolinea che tutti siamo fratelli… Il rispetto religioso è importante. Per questo ai missionari io dico di non fare proselitismo. Evangelizzare è testimonianza. E quella testimonianza provoca la domanda. Ma tu perché vivi così? E lì spiego: per il Vangelo. L'annuncio viene dopo la testimonianza. Le proposte religiose che fanno proselistismo non sono cristiane”.
Popolo e ambiente
Della partecipazione popolare, estremamente ampia in tutti e tre i Paesi visitati, Papa Francesco si è detto colpito: “Nelle strade c'era il popolo. Autoconvocato. Alla Messa nello stadio di Maputo sotto la pioggia. E anche alla veglia notturna e alla Messa di Antananarivo. Dicono che ha sorpassato il milione. Ma il numero non interessa. Interessa il popolo, gente che era arrivata a piedi, dal pomeriggio prima, è stata alla veglia, e ha dormito lì. Io mi sono sentito piccolissimo davanti a questa grandiosità della sovranità popolare. E qual è il segno che un gruppo di gente è popolo? La gioia. C'erano dei poveri, c'era gente che non aveva mangiato quel pomeriggio, per stare lì, ma erano gioiosi. Invece quando i gruppi si staccano dal senso popolare, perdono la gioia. Il segnale che tu sei nel popolo e non in una elite è la gioia”. Un aspetto, quello del popolo, strettamente connesso al paesaggio che esso abita. Da qui le profonde riflessioni sul tema ambientale, divenueto una sorta filo rosso del viaggio apostolico del Pontefice: “Sono in molti a pensare: 'L’Africa va sfruttata'. Noi dobbiamo liberare l’umanità da questo modo di pensare. Il punto più forte di questo sfruttamento, non solamente in Africa, è l’ambiente naturale, la deforestazione, la distruzione della biodiversità… In Vaticano abbiamo proibito la plastica. Ma questa è la realtà. Poi ci sono i grandi polmoni dell’umanità, come la zona amazzonica. Difendere l’ecologia, la biodiversità che è la nostra vita, difendere l’ossigeno. Mi fa piacere che la difesa dell’ambiente la portino avanti i giovani. I governanti stanno facendo di tutto? Alcuni più, alcuni meno. E la parola bruttissima è corruzione”.
Nessuna paura di uno scisma
Ma nella conferenza in volo, c'è spazio anche per tematiche non strettamente connesse al viaggio appena compiuto. E, dai paesaggi equatoriali dell'Africa sud-orientale, Papa Francesco viene interpellato sul suo pontificato e sulla possibilità di uno scisma nella Chiesa americana. Una realtà distante da quella africana ma sulla quale il Santo Padre concede una spiegazione: “Le critiche aiutano e quando uno riceve una critica, subito deve fare autocritica…Poi nel viaggio di andata a Maputo, è venuto uno di voi a darmi un libro: 'Come gli americani vogliono cambiare Papa'. Io sapevo del libro, ma non lo avevo letto. Le critiche non sono soltanto degli americani, ma un po' dappertutto, anche in curia. A me piace quando si ha l'onestà di dirle. Non mi piace quando le critiche stanno sotto il tavolo… Fare una critica senza voler sentire la risposta e senza fare il dialogo è non volere bene alla Chiesa“. E sull'argomento scisma: “Nella Chiesa ce ne sono stati tanti. Dopo il Vaticano I, i cosiddetti vetero-cattolici se ne sono andati a causa dell’ultima votazione sull’infallibilità. Dicevano di voler essere fedeli alla tradizione della Chiesa e adesso fanno l’ordinazione delle donne. Dopo il Vaticano II c'è stato lo scisma di Lefevbre. Sempre c’è l‘azione scismatica nella Chiesa. E’ una delle azioni che il Signore lascia alla libertà umana. Ma io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano, che ci sia il dialogo, che ci sia la correzione se c’è qualche sbaglio, ma il cammino nello scisma non è cristiano. Poi mi viene da pensare: è il popolo di Dio a salvare dagli scismi”. Oggi, ha spiegato ancora, “abbiamo tante scuole di rigidità dentro della chiesa, che non sono scisma, ma sono vie cristiane pseudo-scismatiche che finiranno male. Quando vedrete cristiani, vescovi e sacerdoti rigidi, dietro di quello ci sono dei problemi, non c’è la 'sanità' del Vangelo”.